Dal verbale all'Ansa al rapimento nelle Filippine, interessi nazionali nel mirino

Prima la puntigliosa attenzione di «Nour Al-Din Al Zenki», una formazione coinvolta nel riscatto di Greta e Vanessa, ma preoccupatissima di far avere all' Ansa il verbale di un processo organizzato per punire lo scagnozzo sospettato di esseri intascato una fetta degli 11 milioni di euro versati per le due cooperanti. Ed ora, a distanza di pochi giorni, la dettagliatissima inchiesta di Al Jazeera sul vezzo italiano di pagare per riportare a casa i propri rapiti. Insomma sembra di capire che laggiù in Medio Oriente, o lassù altrove, qualcuno si stia muovendo per mettere nel mirino l'Italia e i suoi governi. Dietro queste strane rivelazioni sincronizzate c'è qualcosa che va ben al di là della politica spicciola. Il ministro Paolo Gentiloni, se ha veramente rifilato una serie di frottole al Parlamento, né risponderà di persona. Gli aspetti più preoccupanti, al di là delle sorti di Gentiloni, sono però le strane e inconsuete attenzioni per le mosse del nostro paese da parte di entità abituate a sguazzare nel magma degli orrori mediorientali. Anche perché a metterle nero su bianco non sono entità propriamente limpide. «Nour Al-Din Al Zenki» non è solo una formazione di ribelli jihadisti finanziati da Cia e sauditi, ma anche un gruppo pesantemente coinvolto nel rapimento delle nostre due connazionali. Un gruppo che ha ritenuto necessario imbastire un processo per punire non i sequestratori, ma chi nella cerchia dei propri affiliati s'era intascato una fetta del bottino. Al Jazeera è, invece, controllata, finanziata e ispirata dall'emiro di un Qatar che nel settembre 2013 non si fece problemi a versare 20 milioni di dollari per far liberare un gruppo di Caschi Blu dell'Onu sequestrati dal gruppo alqaidista di Al Nusra sul versante siriano del Golan. Inspiegabilmente però la televisione di un emirato sospettato di pesanti collusioni non solo con le varie formazioni jihadiste siriane e libiche, ma anche lo Stato islamico, ritiene ora necessario scandalizzarsi per la condotta dell'Italia. Un moralismo così ben focalizzato appare inquietante. Soprattutto se omette di narrare la storia degli altri riscatti, altrettanto cospicui, pagati in questi anni da Spagna, Germania e Francia per riavere indietro i propri connazionali. Soprattutto se avviene in un momento in cui l'estemporanea uccisione di un nostro connazionale in Bangladesh, attribuita allo Stato Islamico, precede di pochi giorni il rapimento nel sud delle Filippine di un altro italiano caduto probabilmente nelle mani del locale terrorismo jihadista. Soprattutto se da quella Tripoli, governata da una coalizione islamista molto vicina a Qatar e Turchia, continuano a non trapelare notizie sulla sorte di quattro italiani sequestrati lo scorso luglio.

Trattasi, insomma, di rivelazioni da maneggiare con estrema attenzione. Perché al di là, e sopra, la poltrona di un ministro facilmente rimpiazzabile c'è di mezzo qualcosa di più inquietante. E riguarda gli interessi nazionali e la sicurezza del Paese.

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