Se spariscono le centrali, energie-verdi in bolletta

I "signori dell'atomo" sono la prima fonte di finanziamento per gli ambientalisti. Col dietrofront della Merkel Berlino non riuscirà a centrare gli obiettivi di Kyoto

Se spariscono le centrali, energie-verdi in bolletta

Paradossalmente saranno proprio i sostenitori delle energie verdi e i nemici dell'inquinamento atmosferico i primi a subire i contraccolpi negativi del precipitoso e controverso addio all’atomo deciso da Angela Merkel. Il nucleare non solo è l'energia meno inquinante ma, almeno in Germania, è, o meglio era, la principale fonte di finanziamento per lo sviluppo delle energie pulite rinnovabili, in particolare quelle derivanti dal sole e dal vento.
Secondo la vecchia legge varata appena nell'autunno scorso, che garantiva l'esistenza delle centrali tedesche fino al 2036, i quattro giganti dell'energia (Rwe, Vattenfall, E.on e EnBW) erano obbligati a versare nelle casse dello Stato una tassa supplementare del 30% sui profitti destinata ad incrementare le energie rinnovabili. Solo nel 2010 questa tassa, risultato di un compromesso tra nucleari e antinucleari, ha fruttato due miliardi e 300 milioni di euro impiegati prevalentemente nella diffusione di piloni eolici, impianti geotermici, apparecchiature fotovoltaiche.
Ma ora che la Cancelliera, sull'ondata emotiva suscitata da Fukushima, ha deciso una totale inversione di marcia (chiusura subito di otto delle 17 centrali e delle altre entro il 2022) questa proficua fonte di denaro è destinata gradualmente ad esaurisi creando non pochi problemi ai nemici del nucleare proprio nel momento della vittoria.
E non è l'unico brutto contraccolpo. Per colmare il buco creato dall'uscita dal nucleare (pari a circa il 23% del fabbisogno energetico) le fonti rinnovabili dovrebbero in dieci anni più che raddoppiare la produzione passando dall'attuale 16% al 39%. Un traguardo irraggiungibile. E allora? Allora non resta che incrementare le importazioni di gas russo e far ricorso al carbone di cui la Germania è ricca. Due strade che hanno entrambe aspetti inquietanti.
La prima aumenterebbe la dipendenza strategica dalla Russia e la seconda rischia di essere un disastro ecologico poiché il carbone è la fonte energetica più inquinante. Secondo gli esperti un ricorso massiccio al carbone provocherebbe nei prossimi dieci anni l'emissione di 370 milioni di tonnellate di anidride carbonica e quindi proprio la Germania, il paese dei Verdi, sarebbe ben lontana dal rispettare i parametri Kyoto che prevedono entro il 2020 una riduzione dei gas serra del 40% rispetto ai livelli del 1990.
Ma il danno maggiore è per l'apparato industriale. Dieter Zetche, numero uno della Daimler, non nasconde il suo pessimismo sugli scenari di una Germania improvvisamente priva di energia nucleare. «Difficilmente potremo mantenere lo stesso livello di competività. Il nucleare non solo è una fonte energetica a prezzi sostenibili ma consente di non dipendere dalle impennate dei mercati petroliferi dando agli operatori una certa tranquillità. Anche le energie rinnovabili non dipendono dai mercati ma il rischio di blackout è notevole».
Insomma la Germania si prepara a pagare un conto salato pur di esorcizzare l'incubo nucleare. Ma lo esorcizza solo in parte poiché nei paesi confinanti continueranno ad esistere ben 77 centrali nucleari, molte delle quali a ridosso delle frontiere tedesche.

Molto saggiamente ha scritto il Frankfurter Allgemeine Zeitung: «Per chi teme il nucleare l'unica via percorribile è quella di affrontare il problema a livello euroeo e multilaterale. Le rinunce isolate e nazionali rischiano di essere un pugno sferrato nell'aria».

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