Alle ore 13.00 del 22 novembre 1963 era già tutto finito. John Fitzgerald Kennedy esalava l'ultimo respiro al Parkland Memorial Hospital di Dallas. Tutto era accaduto in un briciolo di minuti: quel ragazzone dal fascino magnetico, rampollo di una dinastia sventurata, che all'America dei favolosi anni Sessanta aveva regalato vizi privati e pubbliche virtù, diventava il più grande cold case al mondo. Chi ha ucciso Kennedy? Ma soprattutto, perché? Se sei decenni non sono bastati a dipanare la matassa, a poche ora dalla morte del presidente Kennedy fu abbastanza chiaro che l'America avrebbe vissuto di lì a poco turbolenze inimmaginabili. A bordo dell'Air Force One, poco dopo la tragedia, una Jacqueline Kennedy, con gli abiti ancora macchiati di sangue, aveva assistito stravolta all'investitura raffazzonata e tragica di Lyndon B. Johnson. Il n.2, lo specchietto per le allodole per i voti dei dixiecrats del sud, ereditava una serie di dossier scottanti ma soprattutto un trauma collettivo da gestire.
Il disagio interiore nell'America post-Kennedy
La “guerra alla povertà” divenne la parola d'ordine del presidente Johnson e si tradusse in una massiccia produzione legislativa: nel 1965 vengono approvati Medicare e Medicaid, programmi sanitari rivolti rispettivamente alla popolazione anziana e povera. Una serpe si agitava in seno alla società americana: l'America post-Kennedy galvanizzò il movimento per i diritti civili e le rivendicazioni giovanili. Un tipo di rivolta sconosciuta, quella dei figli del baby boom del dopoguerra, che appartenevano alla classe media e rifiutarono i modelli proposti dalla società perbenista dei genitori. Nel 1962 il manifesto degli Students for a Democratic Society e la dichiarazione di Port Huron erano divenuti la Bibbia della Nuova Sinistra: il primo moto di rivolta si ebbe a Berkeley in California e si tradusse nel movimento per il free speech. L'agitazione iniziò nel settembre 1964, quando l'amministrazione universitaria proibì la distribuzione di materiale politico fuori dai cancelli del campus. Un movimento che manifestava già agli albori un malessere interno, manifestato da colui il quale, tirato per la giacchetta, venne incoronato-senza averlo chiesto-simbolo di quelle battaglie: Bob Dylan.
Nel 1963 l’Emergency Civil Liberties Committee aveva attribuito al menestrello del rock un premio come difensore dei diritti civili. Clark Foreman, direttore del comitato organizzatore, era convinto che la presenza di Bob Dylan avrebbe commosso i vecchi liberal spingendoli a contribuire ancora di più all’annuale raccolta di fondi. Dylan arrivò alla cena intimorito e piuttosto alticcio, commettendo un errore madornale: tirare fuori l’assassinio del presidente Kennedy, avvenuto solo tre settimane prima. Quello che Dylan disse, con terrificante onestà, era che se Oswald aveva potuto uccidere Kennedy era perché "una parte dell’America, una parte della “gente”, tanto amata dai populisti, lo voleva morto. Non erano stati i russi o i coreani a lavare il cervello a Oswald, era stata l’America stessa".
Guerra Fredda ed economia
Nell'estate del 1963 la relazione bipolare tra Stati Uniti e Unione Sovietica aveva manifestato tutte le sue trasformazioni quando le due superpotenze avevano ratificato il trattato che metteva al bando gli esperimenti nucleari nell'atmosfera (il Test Ban Treaty). Il Trattato istituzionalizzava l'interdipendenza strategica e avviava la lunga fase della distensione fra le due superpotenze.
Più complessa, la situazione in Vietnam: un'escalation parziale vi era stata tra il 1961 e il 1963, quando il numero di "consiglieri militari" statunitensi inviati ad assistere l'esercito sudvietnamita era passato da 800 a più di 16.000. Con Johnson si ebbe un salto di qualità: abbandonate le perplessità e le titubanze di Kennedy, tutti i membri dell'amministrazione contrari all'escalation verranno un marginalizzati. Ben presto, il successore di Kennedy decise di tradire le promesse fatte alle presidenziali del 1964, all'interno delle quali aveva deciso di promettere la via del negoziato. Nei primi mesi del 1965 l'azione militare statunitense in Vietnam portò a intensificare i bombardamenti e all'invio di truppe di terra. Così, il Vietnam finì per simboleggiare tutte le storture della società americana, ispirando studenti e movimenti. Dare fuoco alle cartoline-precetto diventerà l’arma più affilata con cui colpire l’orgoglio militare americano.
Le cose andarono complicandosi anche per l'economia americana e per le tasche dei cittadini. L'economia continuò in realtà crescere, beneficiando di alti investimenti federali, del sistema imprenditoriale fortemente dinamico e della costante crescita degli indici di produttività. Dal 1961 e il 1969 il PIL americano aumentò in termini assoluti di quasi l'80%: una crescita che non bastò a reggere la concorrenza di alcuni alleati come Germania Federale e Giappone, i cui prodotti conquistavano fette crescenti del mercato mondiale.
Una competizione tra Paesi capitalisti che ridusse significativamente la quota statunitense di esportazioni dei prodotti manifatturieri, segnalando una diminuzione della competitività americana. Nelle tasche degli americani si andarono a combinare i costi della guerra in Vietnam e quelli del grande progetto della Great Society di Johnson, che appesantirono il deficit del bilancio federale. Il dollaro finì per esportare inflazione nel resto del mondo, non essendo più in grado di assolvere a quel ruolo che Bretton Woods gli aveva affidato anni addietro.
Il black power e le battaglie femministe
Kennedy aveva promesso una Nuova Frontiera: non solo quella sulla Luna, ma anche un viaggio interiore, un risanamento dei peccati originali americani. Una battaglia civile, i cui primi vagiti si erano fatti sentire prima dell'avvento del fascinoso presidente. Nell'aprile 1960 Ella Baker, allora direttore esecutivo della Southern Christian Leadership Conference, aveva organizzato un convegno a cui parteciparono oltre a Martin Luther King tanti altri attivisti: in quella sede fu creato lo Student Nonviolent Coordinating Committee. I suoi membri temevano che Martin Luther King e gli attivisti della generazione precedente potessero impossessarsi del movimento. Ma le sollecitazioni più forti giunsero nel giugno del 1963, a causa dello show razzista del governatore George Wallace in Alabama. Il 28 agosto dello stesso anno, la marcia su Washington aveva portato nella capitale una folla di circa 250.000 persone: sui gradini del Lincoln Memorial, King pronunciò il discorso I have a dream. Kennedy restò fuori città quel weekend. Sapeva benissimo che King era finito nel mirino del FBI: questo spiega perché, nonostante le grandi promesse e i grandi gesti epocali in fatto di diritti civili si tradussero in una politica nazionale timida e avara di progressi sul tema. In ballo c’era il consenso del sud, ancora fortemente segregazionista. Non a caso, l’opera fu compiuta proprio da Johnson con il Civil Rights Act e il Voting Rights Act.
Le cose per le donne restavano più complesse: il movimento studentesco e il black power le marginalizzarono, senza avere il coraggio di scardinare i ruoli tradizionali. Nel 1961, Kennedy se ne era occupato, creando una commissione sullo status delle donne presieduta da Eleanor Roosevelt. La popolare serie televisiva Happy Days riassume emblematicamente l’immagine convenzionale della società e delle donne americane degli anni Cinquanta. Dietro alla favola di Happy Days, però, si celavano donne inquiete. Furono soprattutto le casalinghe a confrontarsi con una realtà sempre più complessa.
In quel di Suburbia le donne vivevano di iperattività palliativa, ma anche di psicofarmaci per sanare certi dolori sociali e familiari. Non c'era poi scampo per le casalinghe divorziate: il loro destino era diventare madri sole e in lotta per pagarsi i conti. Parallelamente, si sviluppava la seconda ondata di femminismo: nel 1963 veniva approvato l’Equal Pay Act, la prima legge federale che proibiva la discriminazione sul lavoro e imponeva la parità dei salari con gli uomini. Il 1963 fu anche l'anno di pubblicazione de La mistica della femminilità di Betty Friedan: fu proprio lei a plasmare il nuovo femminismo americano, fondando nel 1966 la National Organization Of Women.
Il tramonto della città americana, la fine dell'innocenza
Le città americane diventarono luoghi di ricorrente violenza e disordini. La popolazione di reddito medio-alto era stata spinta fuori dai confini urbani, mentre le grandi industrie si spostavano o costruivano nuovi impianti sia nelle aree suburbane che nelle città del sud e del sud-est: era l’inizio della fine del prototipo della ruggente città americana. La crisi urbana fece sì che la città divenisse un luogo per emarginati, poveri, reduci, sbandati e minoranze. Kennedy era stato molto sensibile al problema degli affitti popolari e l’Housing Act del 1961 aveva migliorato le condizioni per gli inquilini a basso reddito. Le nuove abitazioni furono perlopiù costruzioni a molti piani, che svilupparono anonimi quartieri verticali. La città divenne il luogo dell’incomunicabilità, un posto pericoloso per i più piccoli, prive aree verdi e di gioco. Le abitazioni pubbliche divennero di fatto prigioni per i nuovi poveri: operai, criminali, tossicodipendenti e invalidi. La distopia dell’anti-città di Lewis Mumford era servita.
Con la morte di Kennedy gli Stati Uniti imparavano a muso duro la loro fallibilità. L'inquilino della Casa Bianca, ritenuto un semidio dai poteri sovraumani portò la morte in ogni famiglia, cristallizzando nel tempo il luogo preciso in cui ci si trovava: "dov'eri quando hanno ucciso Kennedy?" è del resto un refrain che superò le barriere dello spazio e del tempo. Il paradosso volle che la sua morte, sgretolò quel muro pavido tra l'America progressista e quella ancora vergognosamente segregazionista.
Scrutando il suo passato, Oswald, probabile ultimo anello di una lunga catena, venne fuori come un comunista che aveva vissuto tre anni in Unione Sovietica, aveva sposato una donna russa e meditava un trasferimento a Cuba. Ma all'indomani della morte di Kennedy nessuno in America pensò minimamente di accusare Mosca. La rivolta fu contro l'America, quell'"America troppo violenta" come ebbe a dire Arthur Schlesinger jr, amico e consigliere di Jfk. La sua morte cambiò profondamente anche i Democratici, che vissero una vigorosa sterzata a sinistra.
Droga, aborto, omosessualità, erano tutti temi su cui Kennedy non aveva mai preso posizione, ma che i Sessanta obbligarono a trattare, mentre la metà del decennio si apprestava a mettere a ferro e fuoco le convinzioni americane.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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