Robot "giocattolo" per guarire dall’autismo

La sindrome può essere diagnosticata e curata grazie a degli androidi

Un robot per vincere l’autismo. Il disturbo neuro-psichiatrico che deficita le capacità socio-relazionali degli individui affetti può essere curato con automi umanoidi.

Le macchine, rispetto all’essere umano, hanno un quid in più: sono in grado di sviluppare nel soggetto interessato dalla patologia comportamenti di imitazione volti a potenziarne l’autonomia. In parole povere, si tratta di un apprendimento guidato: il robot pone domande e l’interlocutore risponde. Il robot compie movimenti e la controparte li imita. Il compito dei replicanti è di stimolare e di fornire, gradualmente, istruzioni pratiche così da modellare il comportamento della persona “in cura”, aiutandola ad acquisire nuove abilità.

Per il bambino sotto osservazione lo scambio diventa un gioco divertente. L’interazione tra i due è la nuova frontiere alla diagnosi e della cura dei disturbi dello spettro autistico. Le menti della sperimentazione robotica – il cui frutto è la macchina intelligente di nome Zeno – sono il professor Dan Popa (esperto della patologia presso l’Università del Texas e un centro specializzato di Dallas) e il designer David Hanson (con un passato nel reparto creativo della Disney).

La sindrome di Kanner viene diagnosticata tramite il linguaggio e l’interazione sociale, indi per cui finché il bimbo non può parlare è difficile qualsiasi prognosi.

E qui diventa decisivo l’apporto di Zeno, che riesce a interagire con i più piccoli attraverso la comunicazione non verbale e a catturarne, attraverso microcamere le espressioni del volto, le reazioni, cartina di tornasole della sfera emotiva. Ciò permette, a seconda di come (e se) arrivano risposte agli stimoli, di avere un quadro clinico ancor prima che il bambino sia in condizione di esprimersi a parole.

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