Una teologia civile per fare gli italiani dopo l'Italia. Partendo da Dante

Il sistema dello studioso era basato su una religione della patria da coltivare con l'idealismo attualista. Chi lo uccise, soppresse anche una filosofia

Una teologia civile per fare gli italiani dopo l'Italia. Partendo da Dante
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Il 15 aprile di ottanta anni fa veniva assassinato Giovanni Gentile. Massimo esponente del neoidealismo, è stato uno dei pochi filosofi a riuscire a trapiantare il suo impianto dottrinario nella prassi politica e legislativa. Innanzitutto, mettendo in piedi la più grande impresa culturale del nostro Novecento, quella riforma della scuola cui rimarrà legato il suo nome e che, astutamente, Mussolini si affretterà a definire «la più fascista delle riforme», nonostante avesse avuto il plauso di ampi settori dell'opinione pubblica e dello stesso Croce. E poi anche grazie a imponenti iniziative che lo videro direttamente coinvolto come l'Enciclopedia Italiana, l'Istituto di Studi dedicati all'Oriente, il Centro di studi manzoniani di Milano e la Scuola Normale di Pisa. Quell'assassinio segna però una svolta radicale. Non è solo la morte del «filosofo del regime» o l'oblio della filosofia idealista, ma la rinuncia ad un fecondo universo spirituale che era riuscito ad intercettare il senso della continuità di una comunità nazionale. Il destino del pensiero gentiliano è in quella giornata.

Sul versante editoriale va segnalata l'uscita della nuova edizione di Pensare l'Italia, antologia di scritti con la curatela di Marcello Veneziani, che è l'ultimo tassello di un composito mosaico che la casa editrice Le Lettere sta predisponendo da anni per fare in modo che questa impresa umanistica non si disperda nei rivoli capziosi della lotta politica. Il filosofo, per utilizzare le parole di Veneziani, rappresentò l'ultimo tentativo di immaginare l'Italia attraverso una teologia civile. Fatta l'Italia, bisognava fare gli italiani e dare loro consapevolezza della propria identità e di una linea di continuità mai interrotta. Una religione della patria che muovesse dal Risorgimento per riconoscere la sintesi della tradizione teorica, storica e letteraria attraverso quel lungo filo rosso che da Dante («padre nostro, primo degli italiani») incrociava Vico e Leopardi, e infine arrivava ai suoi giorni. Una filosofia civile che, attraverso la potenza teorica del suo attualismo, tenta di riannodare la storia attraverso una visione organicistica, ma quasi muovendo da un paradosso. Proprio lui, che si definiva «liberale per profonda convinzione» - e così come fecero tanti esponenti del vecchio liberalismo -, vede nel fascismo e nello Stato etico il movimento nato per rappresentare la continuità del Risorgimento.

Per mettere però un punto sugli ultimi mesi di vita di Gentile, su quella giornata e sulle ricostruzioni, occorre tornare al volume di Francesco Perfetti, Assassinio di un filosofo. Anatomia di un omicidio politico, pubblicato sempre da Le Lettere vent'anni fa. Quasi un anno prima della morte, con il Discorso agli italiani in Campidoglio del 24 giugno 1943, Gentile sembra anticipare gli eventi con quell'ultimo disperato appello «da italiano e non gregario di un partito che divide», affinché si costruisca l'unione di tutte le forze per la salvezza della patria. Anche la partecipazione alla Repubblica Sociale la spiega come un «adempimento di un dovere civile», perché lo snodo non era più solo l'esito della guerra, ma anche la continuità storica della nazione con il pensiero rivolto «all'Italia futura». A novembre del '43 viene nominato da Mussolini presidente dell'Accademia d'Italia che era stata trasferita a Firenze. Ed è in quella città che verrà ucciso dai Gap, partigiani comunisti che marchieranno con questa loro impresa una delle pagine più buie della resistenza. Non uno dei tanti episodi di guerra, ma un atto che si inserisce nel quadro di una strategia di conquista del potere nella nuova Italia repubblicana.

Perfetti sottolinea questa iniziale caparbietà della critica nel cercare mandanti ed esecutori in ogni possibile direzione, addirittura tra il fascismo radicale, la massoneria, i servizi segreti alleati con lo scopo nemmeno tanto recondito di scagionare o ridurre al lumicino le responsabilità comuniste. L'assassinio rientrava invece in una lungimirante strategia di Togliatti per affermare il primato del Partito comunista in seno al Cln dove era folta la componente azionista.

Oramai si era messa in moto la macchina della falsificazione storiografica e negli anni successivi le lenti deformanti della ideologia faranno il resto. Firenze dedicherà una strada a Fanciullacci, l'assassino ufficiale di Gentile, e la quasi totalità degli intellettuali passeranno armi e bagagli al Pci.

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