«In 100mila scomparsi sotto le macerie»

Il Destino arriva e se ne va. Non ci mette molto a fare il suo sporco lavoro. Gli basta un minuto e la terra impazzisce sgroppando all’insù, al ritmo assassino della scala Richter. Alle 16.53 (ora locale) di martedì, è stato così anche ad Haiti, dove un devastante terremoto ha provocato centinaia di migliaia di morti. Forse addirittura mezzo milione. Un solo minuto, ma probabilmente neppure l’Inferno è mai stato così terribile come appare ora la capitale Port-au-Prince. Perché da questo misero girone caraibico al quale la sorte ha riservato sempre e soltanto il peggio, ormai giungono soltanto le urla strazianti di quei poveri e incolpevoli dannati.
Gridano terrorizzati i bambini in strada, che al ritorno da scuola trovano la loro casa distrutta e nessuna traccia dei genitori. Gridano di dolore i feriti che si trascinano nella polvere con le gambe contorte e le mani strappate, come racconta il missionario camilliano Gianfranco Lovera da quel che resta della sua missione sbrecciata, ma tenuta ancora su dalla misericordia divina. Gridano impazziti i superstiti - e sarebbe crudele definirli «fortunati» - mentre girano sperduti e inebetiti tra i resti fumanti di una città - la loro - che non riescono più nemmeno a riconoscere. Gridano infine, invocando un aiuto al momento quasi impossibile, le voci senza volto che scaturiscono dal buio soffocante delle macerie. Sono le uniche grida che ora dopo ora, giorno dopo giorno, si affievoliranno fino a scomparire del tutto.
E quando il silenzio scenderà sul centro di Port-au-Prince (ed è troppo presto per sapere con precisione che cosa può essere successo in altri quartieri come Canape Vert, Delmas, Bourdon o Petionville), la conta delle vittime potrebbe arrivare a toccare un ordine da calamità biblica. «Le vittime saranno decine di migliaia», prevede singhiozzando, da Washington, l’ambasciatore di Haiti presso l’Osa, l’Organizzazione degli Stati americani. Mentre il primo ministro, Jean Max Bellerive, porta la conta finale a oltre centomila morti e un senatore isolano azzarda la cifra di mezzo milione. Si calcola comunque che le persone colpite a vario modo dal sisma saranno tre milioni, sui nove complessivi che popolano l’isola.
L’unica cosa certa è che in questo Paese piagato da corruzione e miseria, nonché ripetutamente tormentato da terremoti e uragani, è di fatto venuto giù tutto. È crollata l’immacolata e grottesca vanità architettonica del palazzo di governo, risparmiando tuttavia il presidente René Préval. Si è sbriciolata la sede della Diocesi, divenuta invece la tomba dell’arcivescovo Joseph Serge Miot, 65 anni, dal 2008 pastore dei nove milioni di anime isolane. E la stessa sorte, oltre che a migliaia di abitazioni in muratura e miserabili baracche, è toccata ai grandi alberghi e alle scuole, alle stazioni di polizia e alle carceri, a uno dei quattro ospedali cittadini e al quartier generale della Minustah, la missione che vede impegnati 10.800 Caschi blu (già decine, al momento, i morti tra di loro, oltre al capo missione, il tunisino Hedi Annabi) di un’Onu che ieri, impotente come suo solito, non ha potuto far altro che chiedere un rituale minuto di silenzio al Consiglio di Sicurezza riunito a New York.
La scossa di magnitudo del 7° grado (seguita dallo stillicidio di almeno una trentina di sussulti di assestamento che hanno raggiunto il 5,9 della scala Richter), non ha soltanto distrutto case e ucciso decine di migliaia di persone. Ha reso di fatto finora quasi impossibili anche attività di soccorso degne di questa definizione. Non ci sono infatti più quasi strade dove passare, molte ambulanze giacciono schiacciate sotto le macerie degli ospedali e non si sa che fine abbiano fatto gli autisti che possano guidare quelle superstiti, né tantomeno i medici o gli infermieri da prendere eventualmente a bordo.


E mentre nel mondo la macchina della solidarietà si prepara a decollare con i suoi cargo alla volta dell’aeroporto di Haiti, fortunatamente ancora funzionante, una seconda, terribile e buia notte (ovviamente manca anche la corrente, per la gioia degli immancabili «sciacalli») si appresta a scendere sul girone infernale di Port-au-Prince. Dove gli uomini di buona volontà, alla luce dei falò, continueranno a scavare con le mani, seguendo le tracce di decine di migliaia di voci sepolte. Che si fanno però sempre più flebili, minuto dopo minuto.

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