Afghanistan, i "combattenti" italiani e il fascino del jihad

Un capo talebano: numerosi "fratelli" occidentali, anche in Italia, hanno risposto alla nostra richiesta di sostegno

A volte i talebani parlano con i giornalisti. La propaganda è una delle loro armi più efficaci. Le ultime dichiarazioni raccolte da Adnkronos International al confine tra Afghanistan e Pakistan, l'area storica dei campi di addestramento dei guerriglieri, riguardano l'Occidente e l'Italia: i "fratelli" italiani hanno risposto alla richiesta talebana di sostegno economico. Anche se nessun nostro connazionale sta combattendo in Afghanistan a fianco degli insorti.

"Abbiamo avuto contatti anche dall'Italia dopo la diffusione del nostro appello per chiedere fondi sul web, ma non ci sono italiani tra i nostri mujahidin - dice in un'intervista ad Aki Shafarat Sharif, responsabile economico delle milizie talebane afgane -. A combattere tra le file dei talebani in Afghanistan ci sono solo mujahidin afgani e pakistani - continua Sharif -, al momento non abbiamo combattenti di altri paesi e in particolare occidentali". A proposito del terrorista di Tolosa, Mohamed Merah, che si era addestrato nel Waziristan pakistano, il capo talebano spiega: "Non abbiamo sul fronte combattenti occidentali e non mi risulta che abbiamo mai avuto ad esempio mujahidin italiani. Questo perché non ne abbiamo bisogno essendo sempre di più i giovani afgani che decidono di unirsi a noi".

L'"offensiva di primavera", scoppiata drammaticamente nei recenti attacchi di Kabul, ha bisogno di carburante mediatico. E a dieci anni dall'arrivo in Afghanistan delle truppe della Nato (i militari italiani presenti sono oltre 4mila) gli insorti hanno sì ripiegato, ma sono ben lontani dalla resa. "Siamo in una fase di evoluzione della nostra lotta contro le truppe di occupazione della Nato e abbiamo bisogno di nuove fonti di finanziamento per continuare il jihad (la guerra santa, ndr) - aggiunge Sharif -. Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato sul nostro sito in pashtu (una delle lingue parlate in Afghanistan, ndr) e arabo un appello per una raccolta di fondi perché ci troviamo in una fase di difficoltà economica. Abbiamo bisogno di denaro non solo per le armi ma soprattutto per comprare nuove auto di cui abbiamo una forte necessità e anche attrezzature elettroniche e di altro tipo. È un dovere per ogni musulmano contribuire al jihad anche economicamente e non solo personalmente". La richiesta non è stata vana: "Dopo la diffusione del nostro appello sui forum jihadisti siamo stati contattati da numerosi fratelli in Occidente disposti ad aiutarci, soprattutto da Francia e da Gran Bretagna. Con il nostro appello non volevamo reclutare nuovi volontari dall'estero, ma solo chiedere finanziamenti. Noi come afgani siamo pronti a sacrificarci fino al martirio per il jihad e siamo già in tanti".

Non solo terra di conquista. L'Afghanistan torna a essere anche l'Eldorado del fanatismo islamico. Negli anni della resistenza all'invasore sovietico in soccorso dei mujahidin delle montagne arrivavano armi, fondi e combattenti dai paesi arabi. All'alba del regime talebano, nei primi anni Novanta, decine di famiglie islamiche venute da altri stati, nono solo arabi ma anche occidentali, si trasferivano negli accampamenti al confine con il Pakistan.

Gli uomini combattevano, i ragazzi si addestravano, le donne cucinavano per loro. Tutti inseguivano il sogno di un regime fondato sulla Sharia, la legge del Corano. Oggi come allora c'è una guerra santa, e globale, da combattere. Anche con Internet e i bonifici online.

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