Un aiuto ai nemici della pace

Le parole che il presidente del Consiglio Romano Prodi ha pronunciato, davanti ai giovani dell’Opera per la Gioventù Giorgio La Pira, in merito ad Hamas faranno a lungo discutere su come il governo intende perseguire la sua azione nel Medio Oriente. Esse sono anzitutto la conferma del fatto che in un sistema politico basato su delicati equilibri partitici, come quello italiano, la politica estera finisce sempre per cadere prigioniera di quella interna, nello specifico con il tentativo di rabbonire su questo fronte la sinistra radicale irritata sulle questioni welfare e legge Biagi. Poi del fatto che gli equilibristi rischiano di cadere in contraddizione.
«La stessa logica della necessità di dialogare con tutti i protagonisti utilizzata per la crisi in Libano - dice l’onorevole Prodi - io cerco di usarla anche per Hamas. Sto aiutando fortemente, lealmente e con energia gli sforzi di Abu Mazen e Olmert per compiere gesti di pace difficilissimi». Ma non si può sperare di far «evolvere» verso la pace un movimento come Hamas che chiede alle sue «vittime designate» di riconoscerlo. Hamas non è uno Stato sovrano come il Libano e neppure una entità votata alla creazione di uno Stato palestinese. Hamas è il movimento nato nel 1987 con lo scopo di impedire la creazione di uno Stato palestinese «laico e democratico» (secondo la formula di Arafat) e con la dichiarata e mai smentita intenzione, sostenuta dall’Iran, di far sparire dalla carta geografica lo Stato degli ebrei.
È vero che la pace si fa coi nemici. Infatti Israele trattò con l’Olp quando ebbe l’errata convinzione, nel corso di lunghe e segrete trattative a Oslo, che l’organizzazione palestinese avesse abbandonato la volontà di mettere fine alla «entità sionista». Se oggi Gerusalemme è estremamente prudente nei confronti di Hamas lo deve al fatto che una lunga guerra terrorista (guidata soprattutto da Hamas che fece 1.060 morti civili e migliaia di feriti) dimostrò che le dichiarazioni di intenzione non bastano a fare la pace. Non c’è dunque da stupirsi se, come è stato ufficialmente detto ieri a Gerusalemme, «le parole di Prodi preoccupano Israele». Lo preoccupano a vari livelli, diplomatici e politici.
Il primo è quello dello sfruttamento mediatico che Hamas può fare delle dichiarazioni del premier italiano. Lo dimostra l’immediata reazione interpretativa data dall’organizzazione terrorista islamica nel suo sito internet alle parole dell’onorevole Prodi: «L’Italia - dice - ha cambiato politica nei nostri confronti nel momento in cui Hamas è stata ferma nella sua convinzione di non riconoscere l’entità sionista». Il che può non essere nelle intenzioni del governo italiano ma certo solleva dubbi nei suoi riguardi tanto più giustificati in quanto il premier italiano ricorda che nel Medio Oriente l’azione di pace deve essere condotta dall’Europa. Per il momento qualsiasi forma di riconoscimento di Hamas sembra dissociarsi dal resto della Comunità europea che con Hamas non intende trattare.
Queste sono però sottigliezze diplomatiche. Il pericolo e il danno maggiori stanno altrove. Nel momento in cui per la prima volta nella lunga e sanguinosa storia dei rapporti con i palestinesi, Israele ha un governo scaduto agli occhi dell’opinione pubblica per la cattiva condotta della guerra in Libano, ma eletto su un programma anticoloniale e impegnato a coesistere con uno Stato palestinese, è strano che il governo italiano invece di riconoscere i suoi sforzi di pacificazione coi palestinesi lo inviti a trattare con chi non ammette il diritto alla sovranità degli ebrei.
Questo è triste perché non c’è oggi un Paese - Stati Uniti inclusi - per il quale gli israeliani provano maggiore affezione, simpatia e negli ultimi anni fiducia. Un Paese con cui si sono sviluppati rapporti tanto stretti di scambi commerciali, culturali, scientifici e di intelligence. Un Paese che ha avuto il coraggio di spingere l’Europa a impegnarsi con soldati - non con parole - nel ginepraio libanese e contribuito in maniera concreta a riportare la tranquillità su una delle più contrastate frontiere di Israele. Per questo le parole del presidente del Consiglio suonano stonate all’orecchio di Gerusalemme. Vanno contro gli sforzi sinceri e reali di quel governo di sviluppare un dialogo costruttivo coi palestinesi, Vanno contro gli sforzi del loro presidente Mahmoud Abbas (che in Italia chiamiamo Abu Mazen)- anche lui eletto come Hamas in libere e democratiche elezioni - di impegnarsi a costruire uno Stato piuttosto che a distruggerne un altro.
Le parole dell’onorevole Prodi sono anche controproducenti per la credibilità internazionale dell’Italia. Non si possono inviare soldati a combattere il terrorismo in Afghanistan e a difendere la pace in Libano e allo stesso tempo dar credito a un movimento fondamentalista che non rinnega la sua volontà di distruzione dell’unico Stato democratico sovrano del Medio Oriente. Un movimento che con un colpo di Stato ha dimostrato di credere nella democrazia fondata sul voto «libero e universale, ma una sola volta». Non c’è bisogno di ricordare gli esempi europei di questo tipo di democrazia né le sue conseguenze, non solo per gli ebrei, ma per gli italiani stessi.

Esistono molti modi - discreti e ufficiali - per aiutare Israele e i palestinesi ad avanzare sulla incerta, pericolosa ma inevitabile strada della pace che Hamas e i suoi patroni hanno cercato e continuano a cercare di ostacolare.
R. A. Segre

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