Il motivo di tutto, la miccia, sta sempre in quella domanda lì. Soltanto due parole, ma in fondo sono più che sufficienti. What if, si chiede ogni volta Markus Eder, sciatore estremo altoatesino che stavolta, però, pare davvero avere esagerato. Perché scendere giù in picchiata da un ghiacciaio, dribblando il suo paesino d'origine che si trova alle pendici, non è davvero la più comoda delle imprese.
Quel che sembra più inverosimile però, si materializza spesso quando in mezzo ci si mette Red Bull. Ne esce così un documentario (nel 2021) che condensa in dieci minuti di discesa libera oltre due anni di lavoro da parte della casa di produzione, Legs of Steel. Markus è un fuoriclasse universalmente riconosciuto, ma il supporto di un team di altro profilo si rivela indispensabile per compiere l'impresa.
Bisogna mappare tutto nel minimo dettaglio, soppesare i rischi, analizzare le variabili. Il ghiacciaio di Zermatt, che si staglia al cospetto dell'imperioso Cervino, non è esattamente un posto che ti concede una seconda chance. Eder però se la cava benissimo. Scende giù superando diversi blocchi di ghiaccio, quindi attraversa il suo paesino d'origine, Klausberg. Da lì si cimenta in una intensa sessione di freestyle, raggiunge la neve, attraversa il castello medioevale di Tures e il museo minerario, "Una Mecca urbana" secondo il regista . La discesa si conclude mentre il tramonto cola la sua luce arancione sul manto bianco, a fondovalle. Un mucchio di storia e adrenalina mixate insieme, in un documentario che diventa subito epico.
Perché la disinvoltura di Eder fa sembrare tutto semplice, anche se di agevole non c'è proprio nulla. L'atleta, ammirevolmente supportato dal team Red Bull, non soltanto riesce a compiere traiettorie lisce, pulite, tenendosi indenne da rischi, ma si permette anche di impreziosire la discesa con un'incredibile serie di trick e drop. Roba d'alta scuola, che lo conferma tra i migliori sul pianeta, nella sua specialità.
“Ho dovuto spingermi ben oltre i miei limiti questa volta - ha detto Eder – ed ogni aspetto di questa avventura mi ha emozionato fin dall’inizio: sicuramente poter trasformare la mia città natale di Klausberg nella mia personale location per il cortometraggio è stato uno stimolo in più“.
Se il freeskier italiano è riuscito a completare il run che aveva sempre soltanto sognato, molto lo si deve ad una crew che ha saputo esaltare le sue qualità.
Certo, come ha ricordato il regista Christoph Thoresen, l'altra grande impresa è stata filmare e montare tutto in modo da restituire agli spettatori ogni grammo di quelle emozioni: "In alcuni spot particolarmente complessi, dove i trick non venivano al primo colpo, abbiamo dovuto girare la stessa scena fino a 200 volte".Un impegno maniacale: non stupisce che il risultato finale sia sportivamente e visivamente eccelso.
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