Altro che Dan Brown La «rivelazione» si chiama Egeland

Se uno scrittore deve battersi a duello con la concorrenza, di questi tempi è meglio che come arma ne scelga una diversa da quelle del Codice da Vinci, tipo Graal, Rennes-le-Château, Maria Maddalena e il Vangelo di Tommaso. Il pistolero più abile con queste armi è già in città, piaccia o non piaccia, e il suo nome è Dan Brown. Per cui quando fra le pile di volumi della libreria trovate Il cerchio si chiude di Tom Egeland (Bompiani, pagg. 446, euro 18), che oltre a usare tutti i materiali che ho citato ha come protagonista un archeologo albino (nel Codice da Vinci era albino il monaco-killer Silas) tutto vi autorizzerebbe a pensare all’ennesimo furbastro del giro di quelli che da qualche tempo a questa parte hanno riempito le librerie di Codici di Atlantide, Misteri dei Templari, Enigmi di Rennes-le-Château, Rivelazioni su Leonardo e infinite altre variazioni sul tema. Ma aprite il libro e guardate la sua data di pubblicazione: 2001. Ben prima dell’uscita del libro di Dan Brown. Prima di mettervi a gridare al plagio, però, aspettate di aver letto il romanzo di Egeland. I materiali che Egeland e Brown utilizzano sono gli stessi, ma gli esiti narrativi non potrebbero essere diversi. Tanto Dan Brown è rapido e adrenalinico quanto Egeland si concede invece una narrazione attenta alle sfumature, all’anima dei personaggi, tanto che alla fine la quest, il mistero, l’azione cedono il passo ai sentimenti, e si attua una metamorfosi da thriller a romanzo vero. Bjørn Beltø, il giovane archeologo albino protagonista del romanzo di Egeland, è un personaggio a tutto tondo, vivo e con motivazioni credibili, e non un fumetto. Il romanzo non potrebbe aprirsi meglio: dal fango di un campo archeologico nel sud della Norvegia emerge uno scrigno d’oro che potrebbe celare segreti capaci di cambiare il mondo, e forse addirittura un testo scritto di pugno da Gesù. Intorno a quello scrigno sigillato si scatena una lotta fra ambigue organizzazioni e personaggi misteriosi che tessono intorno a Bjørn una rete di inganni e lusinghe tali da perdere chiunque non fosse dotato dell’intelligenza e dell’integrità morale del nostro eroe. La ricerca di Bjørn si snoda fra Londra e Israele, e diventa ben presto un’indagine nel mistero che circonda la morte apparentemente accidentale di suo padre vent’anni prima. A meno di voler farsi odiare dai lettori, ovviamente non si rivela la trama di un thriller. Diciamo solo che a metà del libro Bjørn incontra un personaggio carismatico, per fare il quale non basterebbero dieci dei personaggi di cartapesta di Dan Brown, e che alla fine il mistero verrà svelato, ma aprendo al lettore un mondo di altri misteri. Al contrario del romanzo di Brown, dove alla fine i troppi misteri «svelati» lasciano un senso di insoddisfazione, di trucco da prestigiatore, Egeland lascia intravedere un mistero autentico, ma ce lo mostra come attraverso lo spiraglio di una porta, senza svelarlo del tutto, e lasciando nel lettore una curiosità stuzzicante, ma che per alcuni potrebbe anche rivelarsi una cocente delusione. Il titolo Il cerchio si chiude è ingannevole: in realtà nel finale del romanzo il cerchio si apre, abbracciando la storia del cristianesimo e il futuro dell’umanità.

Lo scrigno finito nelle mani della misteriosa setta dietro la quale forse si celano addirittura i discendenti di Gesù potrebbe essere sparito per sempre (come l’Arca dell’Alleanza nelle immagini finali del film di Indiana Jones) ma potrebbe anche riemergere, un giorno o l’altro. Come lettori possiamo solo augurarci che Egeland faccia seguire a questo appassionante quanto anomalo thriller un seguito. Magari intitolato Il cerchio si apre...

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