Amor che a nullo amato baciar perdona

«Le donne sono le più ostinate, non vogliono (e non sanno) lasciare la gioventù»

«Tanti baci ci vogliono a baciare», un verso memorabile in risposta a quello con cui inizia la famosa poesia di Catullo rivolta all’amata Lesbia: quanti baci mi possono saziare? Il bacio è l’atto essenziale della poesia d’amore, l’incontro tra le labbra, tra i due respiri, il preludio alla fusione. Nella Divina Commedia troviamo il bacio più famoso della letteratura italiana, espresso con la potenza fatale della poesia suprema «la bocca mi basciò tutto tremante», dove il mondo trema, e trema Dante, il testimone, all’ardore di Francesca ancora presa in quel bacio. A cui è dedicato un ricco studio di Lorenzo Renzi (Le conseguenze di un bacio, il Mulino, pagg. 292, euro 17).
Inevitabilmente la storia di quel bacio comporta l’indagine su uno dei canti più famosi della Commedia e uno dei passi poetici divenuti, subito, leggenda. Ma anche, e di conseguenza, una riflessione su quell’episodio come chiave di volta per comprendere la concezione dell’amore di Dante, solidale e tremante, consustanziale all’inestinguibile, perdurante amore di Francesca, ma comunque obbligato da qualche diversa ragione a insediarla, con il suo amante, nell’Inferno.
La vicenda, ispirata dall’amore di Lancillotto e Ginevra, vede in ogni tempo posizioni appassionatamente avverse, tra le quali quella misogina e punitiva dei moralisti, quella opposta dei romantici, solidali pienamente con la donna che si abbandona alla passione, e quella di studiosi che vedono in lei una donna vittima dei libri, una Madame Bovary ante litteram, posizione da letterati, a mio parere, che vedono separati la vita e i libri.
L’episodio di Paolo e Francesca (anche se il nome dell’uomo non è indicato da Alighieri ma da commentatori importanti) è fondamentale, secondo l’autore, anche per indicare il processo di allontanamento di Dante dall’amore sensuale, praticato in gioventù, verso un’ascesi totalmente spirituale. Dalla giovinezza degli amori e delle rime stilnoviste, all’ascesi del poema verso il fuoco divino. Una divisione corretta ma forse un po’ troppo marcata, a mio parere. Un poeta non può agire in termini così categorici. E poi l’amore del giovane Dante delle Rime, l’amore stilnovista, anche quello di Cavalcanti, non è solo sensuale, è fuoco divorante e misterioso, e se l’amore che informa la Commedia fosse quello assoluto e univocamente converso al divino del mistico puro, ci troveremmo di fronte a un’esperienza spirituale alta, ma senza tracce di poesia. Senza un persistente amore umano la poesia non si scrive. Ma ciò non tocca l’analisi di Renzi, che mira a definire l’evoluzione culturale di Dante. E lo fa bene, con rigore e classe, scrivendo la storia di un bacio leggendario quanto quello tragico con cui Romeo saluta Giulietta e la vita che si è appena tolto: «Così, in un bacio, muoio».

E che già il loro primo bacio, come quello di Paolo e Francesca, fosse fatale, lo aveva presentito lei, l’innocente Giulietta, intuendo il loro amore simile «alla polvere pirica e al fuoco, che al loro primo bacio si consumano».

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