Appello di Fabri Fibra: "Ragazzi, datevi da fare Siete troppo spettatori e poco protagonisti"

Sembra provocatorio ma è (anche) un rapper di buon senso: "Sono partito dal nulla, tra poco finisco il mutuo del bilocale". E sui giovani: "Se non ti sbatti a lavorare, nella vita combini poco". Ai trentenni: "Rimangono in casa troppo e poi scoprono di essere falliti"

Appello di Fabri Fibra: "Ragazzi, datevi da fare 
Siete troppo spettatori e poco protagonisti"

Sì, Fabri Fibra è un rapper di buon senso. Oddio, detto co­sì sembra quasi un ossimoro e, in effetti, lui qui e là esagera con le provocazioni senza si­lenziatore. Ma, a farci caso, la sua è davvero una Controcul­tura (dal titolo del suo ultimo disco, uno dei più importanti degli ultimi anni) o meglio un ancoraggio di buoni propositi che, sorpresa!, al suo pubblico più giovane sembrano inediti. «Molti mi vengono a chiedere: ma li scrivi tu i testi?». Certo che li scrive questo quasi tren­t­acinquenne di Senigallia pre­miato l’altro giorno dai Wind Music Awards dell’Arena di Verona per le vendite ciclopi­che del suo cd. «È uscito a set­tembre, sarò in tour ancora per tre o quattro mesi». Per an­ni s’è svenato di fatica, ha fatto i lavori più alienanti, ci ha cre­duto fino a diventare il miglior rapper italiano, i versi di crona­ca implacabile, le rime preci­sissime, anche metricamen­te. Applausi per Fibra, sul se­rio. «Sotto i trentacinque anni credono che controcultura sia “contro” qualcosa o qualcu­no. Ma va’...». Una volta c’era­no i cantautori, spesso politi­camente zavorrati e oggi vec­chi come il cucco. Adesso c’è il suo rap, che è libero, non ha paura di sbagliare ed è così nuovo semplicemente perché quasi più nessuno ha il corag­gio di dire le stesse cose, quel­le, appunto, di buon senso.

Chi l’avrebbe detto, Fibra. Nel tuo disco ci sono versi che sembrano scritti da un pater familias.
«Mi capita di girare per l’Ita­lia. Chi è precario non gira, sta chiuso nel suo nido. E mi ac­corgo che la gente non si chie­de se una cosa è bella o brutta, giusta o sbagliata, è interessa­ta solo a capire se esiste. Se va di moda, allora pensa che esi­sta davvero, che sia vera».

Nel brano In Italia canti: «È il paese delle mezze veri­tà».
«È uscito nel 2008 e molti dei miei fan mi dicevano: ma per­ché ti lamenti, va tutto bene. Adesso sono cresciuti, sono usciti di casa e gli dico: hai vi­sto che non era poi così figo? Quando decidi di lasciare la fa­miglia e andare da solo, allora fai fatica. Ma spesso la colpa è dei genitori, che trasmettono valori errati. Sì, sono impor­tanti la casa e la famiglia però con l’amore non costruisci nulla se non hai un lavoro».

Chiamatela, se volete, con­trocultura.
«La controcultura è un con­cetto genuino, con pochi fron­zoli e molta essenza».

Fa venire in mente i Sessan­ta e i Settanta. E i cantauto­ri. Oggi il nuovo cantautore è Fabri Fibra.
«L’hai detto te. Però è vero che, ad esempio, prima di Con­trocultura ho ascoltato molto il Banco del Mutuo Soccorso per capire quanta forza emoti­va ci fosse a quel tempo».

Hai un lavoro. E la famiglia, i figli?
«Prima mi metto a posto».

Ma il tuo disco è «triplo pla­tino», ha venduto decine di migliaia di copie.
«Vero che si pensa che sia ricco? Non è così. Dipende da dove parti e io sono partito molto in basso. Tra poco fini­sco di pagare il mutuo da 40mi­la euro per un bilocale nella circonvalla esterna di Milano ( usa proprio lo slang «circon­valla », ndr )».

Fibra, in giro c’è una gene­razione carica di rancore.
«Se hai creduto a certe balle, poi a 35 anni scopri di essere un fallito. E dici: come mi ven­dico? Mando il mondo a quel paese».

Il buon senso imporrebbe di lamentarsi di meno e dar­si da fare di più.
«Vedo un’Italia piena di spettatori. Ma con pochi prota­gonisti».

E dire che i giovanissimi do­vrebbero grondare voglia di fare.
«Ma pensi che ai miei con­certi tanti ragazzini vanno via prima dei bis. E lo sa perché? Vedono tutto su YouTube e non sanno che c’è questa abi­tudine».

Spesso lei non è tenero con il pubblico.
«A volte dico: voi state qui a farmi la foto con il telefonino, ma andate via, datevi da fare, andate all’estero».

Sì, ma poi?
«Poi dopo un anno ritorna­no: così salviamo l’Italia. Sono andato ad Amsterdam e le ra­gazze in giro erano vestite co­me persone normali. Qui ve­do ragazzine camminare su tacchi così alti che devono fa­re una fatica pazzesca solo per uscire di casa. Vogliono appa­rire, sono spaventate dal con­fronto con il mostro che c’è fuori. No, il mostro spesso è dentro, è in casa».

Però i giovani faticano ad uscirne.
«Manca la voglia. Qui pochi sanno far bene il proprio lavo­ro, pochi si impegnano».

Vecchio discorso, sembra di sentire Luigi Einaudi.
«Mai sentito paradosso più grande dell’invito a diventare giovani imprenditori. Ma quando? Appena ti ci metti, ti scontri con la criminalità. E la burocrazia che ti anestetiz­za».

Così c’è più paura che vo­glia di fare
«Paura di tutto, anche degli immigrati. Ma perché spaven­tarsi di chi non parla italiano quando chi non lo sa parlare sono proprio gli italiani?».

Anche la paura anestetiz­za.
«Gomorra di Saviano parla a lungo dei danni che la contraf­fazione provoca al mercato. È stato il libro più letto, ma c’è un controsenso: pochissimi lo applicano. In corso Buenos Ai­res a Milano le sciure cinquan­tenni si comprano la borsetta contraffatta. Citare Saviano fa figo. Ma poi se ne fottono».

Fibra, dal 2006 sei sempre sotto i riflettori.
«Ho passato 25 anni a pensa­re. I prossimi 25 li voglio tra­scorrere a raccontare cosa ho pensato. Ho appena fondato una sottoetichetta che si chia­ma Tempi duri per aiutare i giovanissimi: so cosa sia la ga­vetta».

Sai anche cosa sono le dro­ghe. Hai detto: «Sono una finzione. Sono fortunato perché me ne sono accorto in tempo». Come fa a resi­stere senza aiutini?
«Adesso leggo un libro, si in­titola Terzo occhio».

Buddhismo tibetano.


«Spiega che se il tuo fisico è stanco, allora la testa ti può aiutare. Ma se è la testa a im­porti di prendere due mesi di vacanza, allora questo mestie­re non fa per te».

E allora?
«La mia testa non vuole an­cora le ferie. E vado avanti. Semplice no?».

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