Egr. dott. Feltri, Papa Francesco, in più occasioni, ha stigmatizzato il rapporto troppo affettivo fra le persone e gli animali ipotizzando che ci sia una relazione fra la scarsa prolificità e l'amore per gli animali. Emblematica la sua affermazione: «In Italia si preferisce avere un cagnolino o un gatto anziché fare figli».
Anche se comprendo le profonde ragioni del Pontefice vorrei tuttavia esporre la mia esperienza personale in quanto nella mia lunga vita (ho 86 anni) assieme alla mia compianta moglie sono sempre stato accompagnato da numerosi cani ed ultimamente da una gattina che ha vissuto con noi per 20 anni.
Tutti questi animali ci hanno dato un affetto incondizionato ricevendo in cambio solo una cuccia ed un po' di cibo.
Mio figlio di 44 anni, invece, ha avuto tutto il nostro amore ed anche sostanziosi aiuti economici ed in cambio mia moglie ha ricevuto la sua mancanza di affetto e indifferenza totale durata per tutti i 20 anni della sua malattia neurologica degenerativa. Infatti, pur avendo molto tempo libero, non ha mai trovato nemmeno un'ora per aiutarmi, lasciando sulle spalle di un ottantenne la necessaria assistenza. Io, che ero benestante, sono stato privato, con l'inganno ed il tradimento, di tutti i miei beni che con generosità avevo cointestato con il mio unico figlio.
Devo anche sopportare la beffa poiché l'art. 649 del codice penale non punisce il furto fra parenti stretti (marito/moglie, padre/figli).
So che nella sua vita lei ha affrontato situazioni molto difficili e spero che riesca a pubblicare questa mia lettera, magari eliminando alcune parti.
Dati i tempi lunghi della giustizia e la legge 649 C.P. che sembra favorire i disonesti, ancorché parenti, è probabile che non avrò alcuna soddisfazione materiale. Mi darebbe almeno un po' di soddisfazione morale indurre mio figlio a provare, se non il rimorso, almeno un po' di vergogna per la spregevole azione che ha commesso a danno di suo padre ultra ottantenne.
Gradisca la mia stima, i miei saluti ed auguri per le prossime festività.
Roberto M.
Caro Roberto,
la parte che ho deciso di tagliare della tua lettera è soltanto il tuo cognome, che pubblico puntato, nonché la tua città, che ometto di inserire, pur avendola tu indicata, allo scopo di tutelare la privacy tua e anche quella dell'altra persona coinvolta. Per il resto, non intendo censurare nulla della tua epistola e nemmeno i tuoi sentimenti né il tuo sfogo di padre ferito, disperato, affranto davanti all'egoismo della persona che pure hai amato ed ami di più al mondo, ossia tuo figlio, dal quale ti senti tradito e ingannato, anzi addirittura truffato, oltre che abbandonato sia ora che nel compito gravoso, dal punto di vista fisico e anche spirituale, di assistere senza aiuti tua moglie malata per ben venti lunghi anni. Cosa dire, Roberto, amico mio? Hai dimostrato di essere dotato di una forza d'animo straordinaria, la quale nasce dall'amore, un bene che nessuno potrà sottrarti, un tipo di ricchezza che scarseggia nel mondo ma che alberga luminosa nel tuo cuore. Peccato non si possa trasmetterla ai figli e peccato che essi siano talvolta, o sempre, interessati ad un altro tipo di eredità. Se avesse avuto solo un quinto della tua nobiltà, tuo figlio sarebbe stato più ricco e fortunato di quanto non è stato nel momento esatto in cui ti ha sottratto tutto ciò che di materiale ti sei sudato, che possedevi. Vorrei potere credere nei miracoli e quindi che tuo figlio, complice magari lo spirito natalizio che pure pare essere ormai estinto - immagino che lo avrai notato tu stesso -, possa rendersi conto di avere sbagliato e decida di chiamarti e chiederti scusa dando a se stesso la possibilità, di cui ancora potrebbe godere, di avere e di stare accanto al suo babbo. Sono certo che non esiteresti a perdonarlo, ad aprirgli le braccia, a comprenderlo. Mi scrivi proprio ora questa lettera non a caso. In questi giorni dell'anno, infatti, ci si sente più riflessivi, malinconici, soli. Ogni sensazione si esaspera e si acuisce, bella o brutta che sia. La solitudine, soprattutto, diventa un abisso. La mancanza di coloro che amiamo si approfondisce e ferisce. E sono convinto che queste emozioni ti abbiano condotto a vergare queste parole a me destinate. Non leggo odio verso colui a cui hai dato la vita, bensì amore. Un amore che non senti corrisposto, come Natura prevederebbe. Dunque non puoi darti pace. Lo capisco. Facile è odiare l'estraneo che ci fa del male. Ma, quando a farci male è qualcuno a cui vogliamo bene, non abbiamo scampo. Non possiamo rifugiarci in quell'odio che non siamo in grado di provare.
Uno mette al mondo un figlio illudendosi che ne riceverà inevitabilmente amore, soddisfazione, riconoscenza, che avrà un sostegno, una presenza a vita. Però i figli sono esseri umani, che qualche volta non ci assomigliano per niente, nonostante la comunanza di geni e di sangue e nonostante i nostri sforzi di educarli secondo i nostri principi.
Talvolta proprio loro ci riservano il peggiore trattamento, le più crudeli angherie, le delusioni più cocenti. E la nostra maledizione nonché la nostra condanna è di non potere in alcuna maniera smettere di amarli. Nessuno però racconta queste cose. Esaltiamo la maternità, la paternità, la genitorialità, le reputiamo scopi esistenziali, i più alti, essenziali, irrinunciabili, pena una esistenza incompleta.
Ma non è affatto scontato che, avendo procreato, non ti ritroverai solo. Più agevole il contrario, poiché i figli vanno per la loro strada e se ne fregano più o meno di noi.
Hai ragione tu, un cane o un gatto non ci tradiscono mai. Sono fonte inesauribile di tenerezza e affetto.
Di sicuro non ci prosciugano il conto in banca, non ci abbandonano in un ospizio e non ci sbattono fuori da casa nostra, nonostante, dopotutto, ne siano i padroni.Forse che le bestie sono su questa Terra proprio per consolarci dei parenti che non ci siamo scelti?
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