Hanno mostrato a una platea di una trentina di milioni di persone il loro doccino del water per la «fantastica» funzione di lavaggio (non ancora le abluzioni...), la cicatrice dell'operazione di rimozione del tumore, la figlia a tre ore dal parto. E ancora l'attico, la pasta scotta, i capezzoli, l'orsetto di Fendi nella stanza dei bimbi, gli slip, il petting.
Poi però - quando le cose girano male - l'attenzione diventa morbosa, i giornalisti sotto casa sono brutti, cattivi e «queste sarebbero le priorità dell'informazione italiana». La stessa che li ha resi celebrità.
È ironico vedere Fedez invocare la privacy al culmine di una vita esibita che ha fruttato a lui e consorte una fortuna e una popolarità costruite sulla condivisione - geniale dal punto di vista del marketing - dei dettagli più intimi, sullo sfruttamento dell'umana e patologica curiosità per il vip, il kitsch e il rich. Perché, checché ne dica il consorte-un-tempo-noto-come-rapper, il loro successo si basa su quello, non sulla pura capacità comunicativa e imprenditoriale con «ditino e telefonino». Che è innegabile, ma è nulla senza slip e attico.
È come se il re e la regina fossero improvvisamente nudi, per una volta solo metaforicamente, e candidamente ammettessero che le luci della ribalta sono incantevoli solo quando vengono allestite ad arte e portano click e soldi, ma insopportabili se ti si piantano addosso quando soffri e sei in difficoltà.
Non è invidia, non è Schadenfreude. È solo la rivincita dei discreti, la vittoria morale del riserbo sulla fame di fama: lathe biosas, vivi nascosto.
Lo sfogo di Fedez aiuta a cogliere quanto è deliziosamente posticcia la «vita vera» mostrata dagli influencer, ricordando a tutti il valore della riservatezza. Che non porta denaro ed è noiosa, ma se il vento cambia diventa improvvisamente preziosa.Perfino più di un doccino da wc.
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