La migliore vacanza? Restare a lavorare

Non a tutti piacciono le ferie estive: molto meglio continuare a lavorare

La migliore vacanza? Restare a lavorare
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Illustre Direttore Feltri,
so che soltanto lei mi potrà comprendere dato che ha espresso più volte pubblicamente la sua avversione nei confronti delle vacanze. Sono ostaggio di mia moglie, che mi tiene al mare per un mese intero. Rientrerò a Milano dopo la metà di agosto. Ma delle ferie ne ho già abbastanza. Si risolve tutto in code in autostrada, in file al bar, ai caselli, negli aeroporti, in lotte per conquistare un brandello di spiaggia o un ombrellone con relativa sdraio il cui costo è ulteriormente cresciuto quest'anno, tanto che la spesa mensile equivale all'affitto di un monolocale in centro città. Torno a casa più stanco di prima, più stressato di prima, più arrabbiato di prima, più povero che mai. Tanto valeva non partire.
Vincenzo Gozzi

Caro Vincenzo,
quelli da te elencati sono i motivi per i quali non vado in vacanza dal 1982 e da allora vivo notevolmente meglio. Dopo due giorni di mare ne avevo abbastanza della spiaggia, della sabbia, dell'acqua salata, del chiasso, della maleducazione dilagante nei luoghi di villeggiatura, delle code infinite pure per comprare un ghiacciolo, dell'obbligo di fingere letizia e felicità, insomma, di tutto il pacchetto. Siccome soffrivo tantissimo lo stress da vacanza, che è un malessere alquanto diffuso che non affligge soltanto te e che comincia ancora prima di partire manifestandosi con uno stato di ansia, ho deciso, con buona pace dei sensi, di lavorare 365 giorni l'anno e di cancellare la parola ferie dal mio vocabolario. Ho scoperto in questo modo la bellezza della città quando si svuota e diventa calma e silenziosa. Ogni anno attendo il momento in cui i milanesi si levano dalle scatole, liberando le strade dal traffico, per accalcarsi tutti sulle nostre coste, che si estendono per chilometri e chilometri, ma chissà perché ci si ritrova tutti nel medesimo km quadrato. Milano appare quasi diversa, trasfigurata, senza auto, pedoni, biciclette, monopattini, moto, scooter, camion, clacson, gente che corre, che viene e che va, che cammina freneticamente, che riempie i vagoni della metro e anche bar, locali, ristoranti, vie del centro, negozi. Questo è il periodo ideale per godersi la metropoli e riposare standosene comodamente a casa. Il risparmio economico peraltro è notevole. E questo è un vantaggio da non sottovalutare. Non dico che non ci si debba mai schiodare da qui, sia chiaro. Ma è meglio muoversi quando non lo fanno contemporaneamente milioni di persone. Insomma, è più intelligente essere controcorrente: tutti vanno al mare? Bene, allora io rimango in città. Tutti sono in città? Bene, allora io me ne vado da qualche parte. L'essere umano, tuttavia, non ci riesce. Proprio non ce la fa a defilarsi, a prendere la via alternativa. Preferisce seguire il gregge, che in questo periodo lo mena in spiaggia, fare quello che fanno tutti gli altri, per non essere da meno, per non sentirsi escluso o differente, per non ritrovarsi da solo, pericolo da cui rifugge, sua più grande paura. La solitudine, del resto, impone che scrutiamo in noi stessi, che ci guardiamo dentro, che riflettiamo. Costringe al confronto con quell'individuo che ci abita dentro e che non tolleriamo. Nel silenzio della città svuotata, ecco che vengono a galla verità che per tutto l'anno abbiamo ricacciato nei meandri della mente, soffocandole con rumori, impegni, frenesie varie, polemiche, litigi, appuntamenti e scadenze. Questa è la ragione per la quale tutti scappano dalle città: per non correre il rischio di ritrovarsi da soli. Da soli con se stessi. Ma si dia il caso che io sia la mia migliore compagnia.

Eppure l'estate, in particolare la fase che va dalla metà di luglio alla fine di agosto, non è priva di disagi e svantaggi persino per quelli che si ribellano alla moda di viaggiare. Contro uno di questi inconvenienti mi sono scontrato proprio lo scorso sabato, quando mi sono ritrovato a girovagare per oltre un'ora in cerca di un barbiere. Uno sforzo inutile. Sono rincasato barbuto e scocciato. E cosa dire delle edicole chiuse? Non potere acquistare i giornali al mattino per me è una tortura. Li ricevo in versione digitale, ma a me piace sfogliarli, toccarli.

Con i quotidiani ho un rapporto assolutamente carnale, da pervertito della carta. E poi c'è la questione dei bar. In agosto ne trovi due o tre aperti. Lo stesso dicasi per i ristoranti.

Non c'è niente da fare. Questo mondo non è fatto per la gente come noi, che ha soltanto voglia di lavorare.

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