“È sicuramente un mistero degno dei migliori gialli italiani”. Marco Saltalamacchia, executive vice president e Ceo del gruppo Koelliker, fotografa così la paradossale e inaspettata fine degli incentivi per le auto elettriche, bruciati nel giro di qualche ora con lo stupore di tutti gli addetti ai lavori. Partiamo proprio da qui per fare con lui il punto sulla transizione in questo momento delicato.
Cosa è successo, presidente?
“Bisogna capire chi è l'assassino (dice ridendo, ndr)”.
Unrae dice che mancavano all’appello ben 178,3 milioni, ma al netto dei numeri, che lezione si può trarre?
“Il risultato straordinario della domanda di mercato per veicoli elettrici (sia autovetture che veicoli commerciali) ha dimostrato sia come sarebbe sempre più raccomandabile evitare importanti distorsioni del mercato (ritardando ad libitum l’avvio di incentivi già comunicati) come, soprattutto, l’esistenza di una domanda, forte e vitale, e quindi sarebbe auspicabile che i 178,3 milioni mancanti all’appello venissero destinati al rifinanziamento di queste due categorie”.
Una situazione su cui sarà comunque necessario un approfondimento.
“Qualcuno dovrà sicuramente verificare e chiedere spiegazioni. Da uomo dell'industria del settore posso dire che eravamo tutti convinti che gli incentivi sul lungo termine si sarebbero bruciati nell'arco di pochi giorni mentre quelli sull'elettrico, come era già successo nel 2022, sarebbero durati ancora lungo”.
Invece è successo il contrario.
“È vero anche che è stata allargata la platea a noleggiatori e ad aziende, ma qualcosa di anomalo e qualche furbo ci sarà sicuramente stato”.
C’è chi festeggia dicendo che è la prova che l’elettrico non è morto. A che punto è la transizione?
“Il punto d'arrivo non cambia, ne sono molto convinto. Rispetto a due anni fa quello che devo registrare è il mutamento di opinione di Carlo Taverez, che oggi improvvisamente ha cambiato opinione sull’arrivo dei cinesi e sui dazi. I tedeschi pensano che si debba intervenire sulla riduzione dei costi e sul miglioramento delle condizioni al fine di rendere l’industria europea più competitiva. Inoltre, essendo grandi importatori fortemente esposti verso il mercato asiatico vedono i dazi come il rischio di subire ritorsioni. Lo scenario a lungo termine non varia perché non variano i numeri”.
In che senso?
“Adesso il mercato cinese ha superato per la prima volta i trenta milioni di auto vendute in confronto a un'Europa da 12 milioni di vetture. La Cina da sola fa quasi tre volte il mercato europeo, un mercato nel quale noi occidentali abbiamo il 25 per cento del mercato cinese. In Cina hanno un tasso di motorizzazione bassissimo: 255 veicoli per mille abitanti contro gli 800 veicoli per mille abitanti solo in Italia. È successo pure che Volkswagen che era stato il leader storico di mercato in Cina ha perso la leadership lì contro Byd”.
E questo come se lo spiega?
“Perché il prodotto che i cinesi vogliono come mercato di consumo è un prodotto sempre più elettrico. Per la prima volta nei primi mesi dell’anno l'elettrico in Cina ha superato il 50% delle vendite. L'automotive è un business globale e tu non sopravvivi se vuoi contare solo sul tuo mercato locale, lo sanno tutti i costruttori”.
Costruttori che aspettano l’esito delle prossime europee. Cosa può succedere?
“Si può immaginare uno scenario che si sviluppa più lentamente, lo scenario nel quale le cose accadono, ma accadono con un ritmo più lento però il punto di caduta sarà sempre quello: l’elettrico. Se il secolo scorso il mercato del mondiale automotive era l'Atlantico, nei prossimi 100 anni sarà l'Oceano Indiano e quello Pacifico. Questo spostamento dei mercati verso Oriente comporta il fatto che chi è leader di quel mercato stabilisce le regole”.
Quanto vantaggio hanno rispetto a noi?
“Una decina d'anni. Noi abbiamo più di cento anni di esperienza stratificata, di tecnologie, di know how, quindi non è che stiamo partendo da zero, siamo perfettamente in grado di competere. Non casualmente un cinese su quattro compra europeo”.
Che partita deve giocare l’Europa?
“Non può essere una partita di retroguardia bensì una partita in cui mettiamo in grado le nostre aziende di competere a livello globale. Difendere il mercato ha senso se questa difesa serve a dare il tempo all'industria di recuperare il terreno perduto. Oggi bisogna immaginare condizioni di reciprocità, principio che regola i rapporti internazionali del commercio, un commercio che sia equo e corretto e che corregga le asimmetrie”.
Asimmetrie come l’inchiesta della Commissione Ue sugli aiuti di Stato.
“Quello è un po' una foglia di fico, gli aiuti di Stato ci sono sempre stati, da Obama passando allo Stato francese o a quello tedesco. La vera simmetria tra l'Occidente e la Cina è che da una parte abbiamo un libero mercato e dall'altra abbiamo un ibrido”.
Ibrido cinese, in che senso?
“In Cina c’è senza dubbio un libero mercato a livello empirico e pratico. Ci sono più di 150 marchi che competono fra di loro in una maniera selvaggia con una selezione darwiniana in cui fallisce un marchio al mese. A livello macro invece c'è un processo fortemente pianificato in cui il governo cinese ha perfettamente le idee chiare su cosa vuole fare. Per esempio leggevo che ha deciso di investire un miliardo e mezzo sulla micromobilità aerea nella città di Canton. Da noi è il merceto che decide se un’idea ha senso o se è un fallimento, da loro è lo Stato. In Italia abbiamo coltivato un singolo campione proteggendo la concorrenza ma questo campione non è stato poi in grado di competere a livello mondiale. In Cina ne stanno coltivando 150 di campioni che si stanno scannando tra di loro per emergere tra i primi dieci”.
Cosa possiamo fare quindi?
“L'Europa, e quindi anche l’Italia, dovrebbe trovare nuovi strumenti e nuove idee perché ciò che è realmente in discussione oggi non è più l'idea dell'auto in sé, ma l'idea della mobilità. L'auto si sta spogliando sempre di più del suo contenuto emotivo ed estetico a favore di un bisogno primario identificabile con il servizio. In Cina hanno l’idea della guida connessa, totalmente integrata, autonoma, pensano all’auto grande, tradizionale e non amano quelle piccole perché le loro autostrade sono a otto corsie per cui ci puoi anche andare con un'auto da 5 metri. Noi abbiamo invece a cuore le nostre città e quindi non è detto che il modello di mobilità su cui i cinesi stanno puntando sia quello che potremmo adottare noi”.
Alternative?
“Penso alla micromobilità o a quella più compatta, siamo il Paese che ha inventato la 500. Dobbiamo cominciare a riflettere su quale modello di mobilità sistemico e non individuale intendiamo puntare. Questo è un grosso punto interrogativo che richiederebbe una riflessione europea e non nazionale”.
Ma l’Italia che partita può giocare?
“Gli spagnoli hanno un sistema industriale che rappresenta il 10% del loro Pil e sono tra i maggiori produttori. Quindi è chiaro che loro difendono gli interessi dei costruttori che sono presenti in Spagna. Noi italiani chi difendiamo? Eppure abbiamo un'importante infrastruttura industriale e tante realtà che cambiano, da Microlino a Tazzari a Birò realtà italiane che stanno lavorando sulla micromobilità che i grandi costruttori snobbano. Eppure ci sono nicchie importanti che potrebbero funzionare a livello globale, ci vorrebbe un po' di visione.
Nel mondo in che cosa siamo bravi noi italiani? Nelle produzioni di nicchia, non abbiamo la forza per andare a scontrarsi coi grandi colossi, però abbiamo la forza per fare tendenza offrendo prodotti di qualità a tutto il mondo. Quindi troviamo una nicchia potenzialmente globale e cerchiamo di difenderla”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.