Infrastrutture, dissesto e fenomeni climatici estremi: il ruolo chiave della prevenzione

Il dissesto sta avendo un costo notevole sul fronte ambientale ed economico per la gestione delle infrastrutture. Per tutelare queste ultime sono in campo aziende come ISMES, parte del gruppo CESI

Infrastrutture, dissesto e fenomeni climatici estremi: il ruolo chiave della prevenzione

I fenomeni climatici estremi stanno diventando una calamità sempre più diffusa nell’era presente e in un mondo caratterizzato da sfide sempre più complesse sul fronte ambientale mettono a dura prova la tenuta di infrastrutture critiche di vario tipo. Dalle ondate di gelo alle alluvioni, questi fenomeni sono sempre più diffusi e distruttivi anche nei Paesi occidentali. I recenti fatti dell’Emilia-Romagna sono, purtroppo, qui a ricordarcelo.

Un tema fondamentale che dà da pensare in un contesto in cui il disastro climatico e l’impatto sul territorio reclamano un tributo crescente in termini di vite umane e danni materiali. Ad esempio, in Emilia-Romagna, la sola bomba d'acqua di maggio ha prodotto danni per circa 6 miliardi di euro nel breve periodo. Destinati tragicamente ad aumentare. Nel 2019 sulla rivista Pnas, tra le principali accademiche in campo economico, gli economisti Matteo Coronese, Klaus Keller, Francesco Lamperti e Andrea Roventini hanno ricordato che "la prevalenza di catastrofi naturali devastanti si è estesa oltre le regioni tropicali” arrivando a creare un danno economico strutturale ai Paesi più avanzati. Principalmente per l’impatto sulle infrastrutture.

In quest’ottica, la “bomba” climatica genera un danno strutturale e sistemico in materia di dissesto idrogeologico. L’accumularsi continuo di fenomeni estremi sui territori genera un problema di indebolimento strutturale della tenuta del suolo, della pressione sui fiumi e le altre reti idriche, sulla resistenza delle infrastrutture. Per Ispra circa un quinto del territorio italiano, ad esempio, è a rischio di dissesto strutturale. E dal 2003 a oggi si ritiene che mediamente la spesa annua per i danni da dissesto sia stata pari, nel territorio nazionale, a 3 miliardi di euro. Un dato destinato ad aumentare strutturalmente in futuro.

Che si tratti di infrastrutture di trasporto per merci e persone come ponti, autostrade, viadotti, di reti energetiche o di infrastrutture digitali ci sono campi su cui la tenuta delle opere umane di fronte ai fenomeni climatici estremi e agli impatti sul territorio impone di parlare a una sola voce: quella della sicurezza e della prevenzione. In Italia diverse società e gruppi di ricerca sono al lavoro per risolvere il problema, tra cui ISMES, società del gruppo CESI specializzata nel monitoraggio strutturale delle opere più strategiche per sviluppare in forma sostenibile una cultura della sicurezza e della prevenzione dei danni.

Casi come le alluvioni dell’Emilia-Romagna e i casi precedenti che, tra frane e eventi cataclismatici simili, hanno riguardato diverse regioni d’Italia, dalle Marche alla Sicilia, da inizio secolo ci ricordano la valenza del monitoraggio. Episodi drammatici del passato come la strage del Vajont di oltre sessant’anni fa ci ricordano come era il mondo prima che la conservazione in operatività delle infrastrutture diventasse un tema centrale.

Questo tema è fondamentale per sviluppare una vera agenda di sviluppo sostenibile. Reti sicure, resilienti e robuste permetteranno un maggior sdoganamento dei flussi energetici, se ad esempio un gasdotto sarà mantenuto al riparo da eventi sismici o una rete elettrica dal freddo estremo; consentiranno trasporti diversificati e sicuri sempre più decarbonizzati, se ad esempio vie tramviarie e ferrovie saranno mantenute in armonia col territorio. Contribuiranno alla sicurezza e allo sviluppo pubblico. ISMES si occupa di questa branca decisiva per lo sviluppo sostenibile.

Sulla lotta al dissesto idrogeologico, in particolare, ISMES punta in forma prioritaria perché la “guerra” del cambiamento climatico è innanzitutto una guerra al territorio. Alle sue specificità e consolidate dinamiche. E dunque alla capacità dell’uomo di conviverci. La tenuta e il consolidamento della capacità delle infrastrutture umane di resistere agli impatti dell’ambiente sul sistema geomorfologico è cruciale. Aziende come ISMES spingono perché tale resistenza si consolidino. Come? Spingendo su monitoraggi digitalizzati e uso di algoritmi sofisticati di manutenzione predittiva.

Servizi a cui si aggiungono una capacità di diagnosi delle infrastrutture dinamica e una teleassistenza agli operatori che tali infrastrutture gestiscono e mettono a profitto. Questo per poter compiere un’opera di sorveglianza non eccessivamente invasiva che vada di pari passo con il sostegno reciproco tra attori attivi nella consulenza ingegneristica e utilizzatori delle infrastrutture. Di cui vanno minimizzati rischi e problematiche.

Il settore del dissesto idrogeologico, in Italia offre anche opportunità di sviluppo economico e tecnologico, dato che è stato finanziato nel quadro del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) con ben 800 milioni di euro. Pari a un decimo dell’intera spesa per la tutela del suolo e delle infrastrutture, che supera gli 8 miliardi di euro.

L’idea di fare della sicurezza delle opere un fattore abilitante di crescita armoniosa e sostenibile è potenzialmente vincente per il Paese e tutte le economie avanzate. Di fronte all’avanzamento del dissesto climatico, urge porre in essere sfide per convivere e adattarsi. E non rassegnarsi a lasciarsi sommergere da maree che, non solo metaforicamente, si fanno sempre più alte.

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