dal nostro inviato a Bam (Iran)
Ci sono ancora i rottami della Royal Enfield tra le palme da dattero, nel cortile della guesthouse di Akbar. «Era di un ragazzo inglese, arrivato dall'India e diretto a casa con la moto che aveva comprato a Mumbay. Invece è morto qui, all'alba del 26 dicembre, nel 2003. Abbiamo perso anche un altro cliente, un ragazzo americano, e un mio caro amico che era qui a dormire. Io e gli altri ospiti ci siamo salvati. Sembra cinico dirlo, ma rispetto agli altri hotel di Bam, a noi è andata benissimo». Mohammed, il figlio di Akbar, professore di inglese che vent'anni fa decise di ospitare i turisti che arrivavano a Bam, mostra i pezzi di muro della vecchia guesthouse ancora in piedi. Spezzoni che ricordano che questo albergo ha una storia terribile da raccontare, come ce l'ha questa antica città nel sud-est dell'Iran, celebre per le sue palme e per la sua cittadella, uno dei gioielli protetti dall'Unesco, ma il bollino delle Nazioni Unite non ha potuto salvarla dal sisma di 5 anni e mezzo fa. Erano le 5.26 del mattino quando una scossa di magnitudo 6.3 uccise 26mila dei suoi 40mila abitanti, sgretolando le vecchie case costruite, come la cittadella, in mattoni di fango. «Non c'era più niente in piedi», ricorda ancora Mohammed, indicando la struttura a due piani del nuovo hotel, ancora in costruzione. Ci stanno lavorando da tre anni, ma lui e suo padre hanno riaperto la guesthouse pochi mesi dopo il sisma. Prima con le tende, poi con i prefabbricati che ancora ospitano il dormitorio. E infine con un vero edificio, antisismico, il cui cantiere però sembra essersi fermato dopo aver completato le prime 4 stanze.
D'altra parte qui il turismo ha avuto un tracollo, e per chi è sopravvissuto è stata un'appendice drammatica alla tragedia del terremoto. Mohammed e suo padre sono ospiti deliziosi. Si offrono di accompagnare i clienti alla cittadella, tornano a prenderli, sono una miniera di informazioni. «A me sembra ancora bellissima», spiega Akbar con gli occhi lucidi di fronte alle rovine dell'ingresso di questa città le cui origini risalgono a 2000 anni fa. E ha ragione. Anche se ormai è quasi del tutto fuori dalle rotte dei tour operator che lavorano in Iran, le rovine di Arg-e Bam sono ancora grandiose. Sono poche le torri rimaste in piedi, quelle che colpirono la fantasia di Marco Polo quando passò da qui, eppure le grandi arcate color terra, spezzate dal sisma e appoggiate al suolo sono imponenti come lo erano quando sfidavano la gravità. Ora nella cittadella lavorano centinaia di archeologi. Un progetto internazionale intende riportare queste strade e questi palazzi al loro antico splendore. La ricostruizione avanza, ma i tempi sono più che incerti, e il percorso dei visitatori tra le briciole di quella che fu Arg-e Bam si fa largo tra impalcature gialle che tengono insieme quello che ancora non è caduto. Non ci sono turisti, oggi. Solo locali, che si aggirano piano tra le strade rosse e polverose, tenendo le mani unite dietro la schiena, e rendono omaggio al monumento che era l'orgoglio della città, il loro orgoglio. Loro ci credono alla rinascita. E vanno a decine fino a quel che resta della moschea, pregano, fanno le abluzioni alla piccola fontana rimessa in funzione appena fuori dalle rovine del tempio. «Stiamo ricostruendo», spiega sorridendo un custode.
Che la strada per tornare alla normalità sia lunga, lo testimonia anche la sparizione degli hotel. Oltre alla guesthouse di Akbar, c'è solo un altro albergo che ha riaperto i battenti. Gli altri sono scomparsi per sempre, i loro proprietari sono morti o hanno semplicemente lasciato perdere il business. In fondo, se il fascino della cittadella è ancora intatto, non si può dire lo stesso della città. Le vecchie, pittoresche case di fango sono state sostituite da palazzine antisismiche, in gran parte ancora incomplete, che non rendono troppo attraente il luogo. E come se non bastasse, a peggiorare il clima in una città che per un anno è stata popolata solo di tende della Mezzaluna Rossa, a ottobre due anni fa è arrivato anche il rapimento di uno dei pochi turisti. Un 23enne giapponese, Satoshi Nakamura, ovviamente ospite di Akbar, era stato sequestrato in strada, dopo aver visitato le rovine della Cittadella, da una banda di trafficanti di droga, attivissimi nell'instabile area del Sistan-Beluchistan, sulla strada che da Bam porta al confine con il Pakistan e con l'Afghanistan. Satoshi è stato rilasciato otto mesi più tardi, e ora anche i giapponesi cominciano a farsi rivedere da queste parti. Più incoscienti che mai. Tra gli ospiti della guesthouse c'è Takeshi, che ha lasciato Tokio tre anni fa per girare il mondo. Non segue l'hippie trail, ma una sua rotta dettata dall'istinto e, appunto, dall'incoscienza. Chiede a Mohammed se in Iran c'è qualche punto dove la frontiera con l'Irak è più permeabile. Mohammed lo guarda come se fosse un alieno, e ovviamente gli consiglia di stare alla larga da quel confine. «Non hanno paura di niente - spiega Akbar sorridendo - e vanno dappertutto. Qualche giorno fa abbiamo accolto una coppia di giapponesi reduci da due mesi di vacanza in Afghanistan». La sera, di fronte a una tazza di chay, Akbar racconta di quando, dopo una vita passata a viaggiare, decise di aprire questo hotel. Ricorda i tempi dei figli dei fiori, e poi quelli del turismo indipendente, e dei tour che da fine anni '80 scoprirono Bam e la inserirono nei circuiti. «Tante cose sono cambiate», sospira, accendendosi una sigaretta. Ma non tutte. Mentre il sole scompare nel mare di palme, qualcuno fuori dal cancello suona un clacson.
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