Quando i Globetrotters cacciarono i Lakers da Minneapolis

Nonostante i grandi successi ottenuti a Los Angeles, i gialloviola sono arrivati in California solo nel 1960. A rovinare il rapporto con la città del Minnesota fu una sconfitta con una squadra nata per rappresentare un popolo e far divertire grandi e piccini

Quando i Globetrotters cacciarono i Lakers da Minneapolis

Giugno nel calendario dello sport americano vuol dire solo una cosa: le NBA finals. Anche se quest’anno le cose non sono andate secondo le previsioni, spesso e volentieri a giocarsi il titolo della lega professionistica più importante al mondo c’è una squadra inconfondibile, i cui colori sono diventati sinonimo della città degli angeli e del mito della California. Eppure, le cose non sono andate sempre così. Settant’anni fa, il basket sembrava alieno a queste latitudini, roba da East Coast, da gente che d’inverno deve rifugiarsi in un’arena per non morire di freddo.

Per far approdare da queste parti una franchigia nata molto lontano e, poco alla volta, trasformare gli abitanti in maniaci della palla a spicchi ci volle una serie di circostanze curiose e, incredibilmente, una partita con una squadra altrettanto iconica. Ecco perché questa settimana “Solo in America” vi porta a Los Angeles per raccontarvi la storia di come i Lakers arrivarono qui dal Minnesota e di come questo trasferimento fu la conseguenza di una sconfitta rimediata contro gli Harlem Globetrotters.

Globetrotters Grande Muraglia

Nati sotto un altro cielo

Siamo talmente abituati a parlare di Los Angeles Lakers da non riuscire nemmeno ad immaginarsi che questa franchigia sia nata altrove. Dici Lakers e la gente pensa subito al giallo e al viola, al gancio cielo di Kareem, al Fabulous Forum, ai tanti miti che hanno fatto la storia del basket losangelino. Pochi si fermano però a chiedersi cosa diavolo c’entrino i laghi con una terra come la California del Sud, dove di laghi ce ne sono davvero pochi. La cosa cambia parecchio quando si passa dal Sunshine State alla vera patria dei Lakers, quel Minnesota che batte la Finlandia 10 a uno: se il paese scandinavo ne ha mille, lo stato nordamericano di laghi ne ha addirittura diecimila. Quando si è seduti su una storia di successi senza pari nella NBA, con solo i Boston Celtics a pareggiare il numero di titoli vinti, molti si dimenticano degli anni passati dalla franchigia nelle Twin Cities di Minneapolis e Saint-Paul. La cosa fa storcere il naso agli appassionati del basket d’annata. Nei 12 anni passati da quelle parti, i Lakers diedero origine alla prima dynasty della palla a spicchi, prima di essere soppiantati dai Verdi di Red Auerback e di un certo Bill Russell. I primi 5 dei 17 titoli dei gialloviola furono vinti dal 1949 al 1954, quando la squadra di Minneapolis poteva vantare un talento incredibile come George Mikan, un giocatore assolutamente dominante per l’epoca.

George Mikan 1948 figurina

Eppure la franchigia era nata altrove, più ad est, in quella che all’epoca era una delle città più ricche e raffinate d’America, Detroit. Creata nel 1946 come un expansion team della National Basketball League, la franchigia era nata dall’idea di un gioielliere appassionato di basket, Maurice Winston. Per farsi un minimo di pubblicità gratuita, decise di chiamare la sua squadra “le gemme”. Sfortunatamente il nome era l’unica cosa scintillante di quella squadra, che a Motown non collezionò che una serie interminabile di sconfitte. I Gems sono infatti la squadra più perdente della storia delle quattro leghe professionistiche di basket americane, chiudendo la loro esperienza in Michigan con un devastante 4-40. Il gioielliere si stancò di esser preso in giro e decise di ridurre le perdite, sbarazzandosi della franchigia.

George Mikan De Paul

Per sua fortuna c’erano due proprietari pronti a proseguire l’avventura, Benny Berger e Morris Chaflen. Visto che a Detroit avevano fatto terra bruciata, meglio trasferirsi altrove, in una città forse meno ricca ma più abituata agli sport al chiuso: Minneapolis. Grazie alla stagione disastrosa, i Lakers si guadagnarono la prima scelta del draft e la possibilità di assicurarsi i servigi di un incredibile talento di Joliet, Illinois che aveva fatto faville con la maglia della DePaul University. Non lo sapevano ancora ma il pivot sarebbe diventato la prima superstar del basket, tanto famoso da essere soprannominato Mister Basketball. Assieme al visionario coach John Kundla, i Lakers avrebbero dominato la pallacanestro per sei anni, mancando solo il titolo nel 1951. Nonostante tutto, il futuro dei Lakers a Minneapolis non era così sicuro. Fino a quando Mikan dominava sotto il tabellone, tutto bene ma il rapporto col pubblico si era guastato ben prima. A rovinare tutto sarebbero state una serie di incontri con una squadra lontana mille miglia dalla pallacanestro tradizionale, nata per rappresentare un intero popolo.

La sfida con “gli altri”

Per quanto siano una delle squadre più famose al mondo, dotate di una colonna sonora tra le più riconoscibili, la celeberrima Sweet Georgia Brown con il suo inconfondibile fischiettio, nessuno si sognerebbe di prendere sul serio gli Harlem Globetrotters. Sono funamboli della palla a spicchi, capaci di evoluzioni strabilianti, le loro partite con gli eterni perdenti, i Washington Generals, fanno ridere grandi e piccini ma il basket serio è tutt’altra cosa. Le cose andavano in maniera del tutto diversa quando, il 19 febbraio 1948, la squadra più divertente del mondo incrociò le spade contro i Minneapolis Lakers per la prima volta. I 17823 spettatori del vecchio Chicago Stadium non si sarebbero mai aspettati che la partita di esibizione, la prima delle due organizzata dalla Basketball Association of America, sarebbe stata tanto importante. Max Winter, il primo general manager dei Lakers, ammise anni dopo che “non sapevamo che sarebbe diventata una delle partite più memorabili della storia del basket”.

Perché mai, mi chiedete? Basta dare un’occhiata ai giocatori in campo per capire che qualcosa non tornava: tutti bianchi i Lakers, tutti neri i Globetrotters. D’accordo, il Minnesota è uno stato ad alta percentuale di tedeschi e scandinavi ma la ragione per la composizione delle squadre era ben più seria: gli afroamericani non potevano giocare coi bianchi ma solo in squadre a loro riservate. Jackie Robinson era già stato assunto dai Brooklyn Dodgers l’anno prima, ponendo fine alla segregazione nel baseball ma ci sarebbero voluti anni prima che il variopinto mondo delle leghe professionistiche prima della nascita dell’NBA nel 1949 si mettesse al passo coi tempi. Le sfide tra le squadre di bianchi e di neri erano in grado di attirare grandi folle, tanto da convincere un giornale di Chicago, l’Herald-American ad organizzare un torneo ad inviti chiamato World Professional Basketball Tournament per mettere a confronto le squadre delle varie leghe. Nel 1939 e 1940 era stato vinto da squadre di colore, i New York Rens e gli Harlem Globetrotters, ma da lì in avanti le squadre della NBL avevano avuto la meglio sette volte su dieci.

Globetrotters Lakers

I Lakers erano appena arrivati in Minnesota e si erano assicurati un buon numero di talenti provenienti da una lega andata in bancarotta, la Professional Basketball League of America. I Globetrotters erano famosi ma non avevano mai affrontato uno come Mikan, forse il più grande della sua generazione. Con 103 vittorie consecutive alle spalle, i funamboli del pallone iniziarono a preoccuparsi quando il pivot mise ben 18 punti nel primo tempo, portando i Lakers avanti di 9. Harlem aveva problemi sotto al tabellone, visto che il pivot Goose Tatum era ben 18 centimetri più basso del rivale. Quando iniziarono a raddoppiare sistematicamente Mikan, la musica cambiò decisamente: dopo aver messo solo sei punti si prese anche un tecnico. Sul 59 pari la palla arrivò a Marques Haynes, forse il miglior palleggiatore di sempre. Visto che non era ancora stato inventato lo shot clock, il play di Harlem scherzò tutti i Lakers fino a pochi secondi dalla sirena per passare la palla ad Ermer Robinson. La linea dei tre punti non c’era ancora ma non importava: il tiro dalla luna si infilò senza sfiorare il ferro. 61 Harlem 59 Minnesota: gli “altri” avevano vinto di nuovo.

La fine della segregazione

La notizia si sparse in un batter d’occhio in tutta l’America. I Lakers stavano vivendo una stagione unica ed avevano quello che universalmente era considerato il miglior giocatore d’America ma avevano comunque perso dai Globetrotters. Nel 1988, quando un giornalista del Minnesota intervistò molti dei giocatori ancora vivi, alcuni provarono a dire che non avevano preso la partita sul serio, che, in fondo, era solo un’amichevole. In realtà la sconfitta pesò eccome, tanto da dare il via ad una vera e propria rivalità. Nelle teste di tanti appassionati di basket iniziò a farsi strada l’idea che anche una dynasty come i Lakers non era davvero reale, visto che non aveva dovuto affrontare i talentuosi cestisti di colore. Nei dieci anni successivi l’incontro si ripeté per otto volte; Harlem vinse le prime due, Minnesota le altre sei ma la partita aveva già perso parecchia importanza. Come mai? Come avrebbe detto qualche tempo più tardi un altro figlio di Minneapolis, Bob Dylan, the times they’re a-changing. Il cambiamento era arrivato anche nella neonata NBA, grazie anche alle partite tra i Lakers ed i Globetrotters.

Globetrotters schiacciata

Nella primavera del 1950, uno dei giocatori simbolo di Harlem, Nat “Sweetwater” Clifton fu tra i primi tre afroamericani a diventare un giocatore della NBA, due anni dopo il primo giocatore non-bianco, il nippo-americano Wataru Misaka. Lo storico del basket Claude Johnson non sottovaluta l’importanza delle partite coi Lakers per la fine della segregazione nel basket professionistico: “Forse il momento più importante per gli afroamericani fu il 1939, quando a vincere il primo campionato del mondo di basket fu una squadra di neri ma le partite tra Lakers e Trotters contribuirono all’integrazione della lega. Il proprietario dei Knicks, Ned Irish, aveva bisogno di un pivot ed aveva visto come Sweetwater Clifton se la potesse giocare con Mikan. Fu per questo che minacciò di andarsene dalla lega se la NBA non gli avesse permesso di ingaggiarlo”. La cosa fa ridere oggi ma furono in molti a lamentarsi di questa apertura. Eddie Gottlieb, proprietario dei Philadelphia Warriors, era tra chi avrebbe voluto lasciare le cose come stavano. Dopo aver perso la votazione ne disse di tutti i colori ai suoi colleghi: “Non sapete cosa avete fatto, brutti idioti. Avete rovinato il basket!”. Strano che a dirlo fosse uno come The Mogul, che si era fatto le ossa nella lega riservata ai neri ed aveva organizzato le trasferte all’estero dei Globetrotters. Una cosa è certa: la pallacanestro non sarebbe più stata la stessa.

Globetrotters arbitro

Il rimpianto di Minneapolis

Chiaramente abbiamo esagerato quando abbiamo detto che furono i Globetrotters a “cacciare” i Lakers da Minneapolis ma certo le sconfitte contro Harlem non aiutarono la franchigia a costruirsi una solida base. Fino a quando Mikan dominava in campo e la squadra vinceva tutto, le cose andavano più o meno bene ma quando il centro appese le scarpette al chiodo nel 1956, la situazione precipitò molto in fretta. Dopo quattro stagioni da dimenticare, il nuovo proprietario Bob Short si accorse che il pubblico non era più quello da una volta e iniziò a spingere per ottenere dalla NBA il permesso di trasferirsi sulla costa occidentale. Ci sarebbero voluti 29 anni prima che il basket tornasse nelle Twin Cities con la fondazione dei Timberwolves. Eppure, molti a Minneapolis non sono mai riusciti a dimenticare i Lakers. La differenza in quanto a successi tra le due squadre è clamorosa. Dopo essersi trasferiti a Los Angeles i Lakers sono arrivati in finale quasi una volta su due, vincendo dodici titoli. I Timberwolves non ci sono andati nemmeno vicini in 34 anni. La cosa che, però, fa più rabbia ai tifosi di Minneapolis è come l’addio dei Lakers abbia segnato l’inizio di una vera e propria maledizione. La cosa è molto meno assurda di come potrebbe sembrare, almeno da quanto si legge da un articolo pubblicato sul principale giornale del Minnesota, lo Star-Tribune, per celebrare i 50 anni dall’addio della franchigia gialloviola.

Kobe Bryant Minnesota Los Angeles 2012

L’autore, Patrick Reusse, preferisce ignorare che, a partire dal 1960, la squadra più amata dello stato, i Vikings, abbiano raccolto davvero poco dalla loro permanenza nella NFL, arrivando al Super Bowl quattro volte per perdere ogni volta. A far arrabbiare parecchio i tifosi di Minneapolis, il fatto che l’ultimo atto dei Lakers prima di andarsene avvenne l’11 aprile 1960, quando come seconda scelta nel draft la franchigia scelse Jerry West. Proprio dopo aver sofferto per anni dopo l’addio di un campione come Mikan, se ne vanno dopo aver scelto un altro tra i grandi dello sport? D’accordo, le cinque serie di finali degli anni ‘60 le persero tutte contro i Celtics ma chissà come sarebbero andate le cose se fossero rimasti? D’altro canto, però, essere in un mercato importante come Los Angeles non può essere trascurato. Quando Jack Kent Cooke comprò i Lakers, fu in grado di permettersi di offrire uno stipendio mostruoso a Wilt Chamberlain solo perché gli sponsor in California erano disposti a tutto pur di averlo nella città degli angeli. Sarebbe stato così entusiasta di lasciare Philadelphia per trasferirsi a Minneapolis? Non credo proprio. Kareem se ne andò dai Bucks dopo aver trasformato Milwaukee in una franchigia vincente per “ragioni culturali”. Avrebbe scelto i Lakers se fossero rimasti in Minnesota? Improbabile. Cosa dire di Shaquille O’Neal, la cui carriera musicale e nel cinema fu una delle ragioni che lo spinsero a lasciare Orlando? Quando Jerry West strappò il diciassettenne Kobe Bryant agli Hornets, cedendo Vlade Divac in uno dei trade più incredibili di sempre, avrebbe potuto farlo se fossero rimasti a Minneapolis?

Shaquille ONeal Minnesota Los Angeles 2004

Eppure la fortuna ha giocato un ruolo non indifferente nelle fortune di queste franchigie. Tanto sono stati sfigati i Timberwolves, tanto fortunati sono stati i Lakers, almeno a sentire gli abitanti del Minnesota. Certo, quando nel 1976 i Lakers spedirono Goodrich agli Utah Jazz, ricevendo in cambio le scelte al primo turno per i draft del 1978 e 1979 non potevano certo immaginarsi che una di quelle scelte gli avrebbe consegnato gratis un talento generazionale come Magic Johnson. Visto che la Dea Bendata ha voltato le spalle al Minnesota da quando se ne sono andati i Lakers, nessuno crede davvero che un colpo di fortuna del genere sarebbe capitato davvero. Anche se non l’ammetteranno mai, sanno bene che i successi dei gialloviola sono legati a triplo filo a Los Angeles. Pensate che Jerry Buss avrebbe rischiato il suo intero patrimonio per comprare una franchigia in Minnesota? Non esiste. Non saranno nati in California ma i Lakers non avevano futuro nel profondo nord del paese.

Eppure, ogni volta che i gialloviola si presentano al Target Center, in pieno centro città, i tifosi non possono fare a meno di pensare che quei dodici titoli in più sarebbero potuti essere loro. D’altro canto, se un sogno è così bello, a cosa serve la realtà? Una cosa è certa: storie del genere possono succedere solo in America.

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