La balbuzie è molto più diffusa di quanto si immagini, basti pensare che interessa un milione di persone solo in Italia. Il meccanismo che consente di dare voce ai pensieri, vocalizzando le parole, può essere scontato per molti ma per tanti altri risulta complesso. Ancora oggi sul disturbo permane uno stigma e molte false credenze. Eppure si può essere balbuzienti e avere allo stesso tempo un'eccellente capacità comunicativa. La prova vivente è Paolo Bonolis. Sebbene sia difficile crederlo, uno dei volti più seguiti e conosciuti dell’intrattenimento televisivo è stato molto balbuziente fino ai 12 anni. “È più importante quello che dici di come lo dici” – ribatte Bonolis. Ben altro discorso è lo spettacolo. "In quel caso bisogna lavorarci" – racconta. A fare la differenza per un bambino è l'ambiente circostante: “ho vissuto tutto con naturalezza. A scuola, durante le interrogazioni rispondevo per iscritto, perché con la tensione la balbuzie aumentava, ma nessuno me lo ha mai fatto vivere come un problema”. Insomma, essere balbuzienti non preclude la possibilità di sviluppare una capacità tale da tenere in piedi uno spettacolo da soli per ore.
A che età hai realizzato di essere balbuziente?
“Quando ero piccolo la vivevo come una cosa normale, era quello il mio modo di parlare, se ne sono accorti i miei ovviamente. Finché non mi hanno detto che era la balbuzie per me era solo il mio modo di esprimermi. Sono stato molto balbuziente fino ai dodici anni poi pian piano ho imparato a gestire il problema".
In che modo?
“In modo naturale. A scuola ho iniziato a fare teatro e grazie ai registi della compagnia, Renato d’Archino e Lello Magrello, mi sono reso conto che quando le cose da dire le conoscevo a memoria, non balbettavo. D’altronde la stessa cosa è successa a molti personaggi del mondo dello spettacolo. Mi ricordo Fiorenzo Fiorentini, che era un attore vernacoliere romano, con il quale era impossibile parlare. Eppure quando era in scena non balbettava. Così lo stesso Tony Renis, anche lui balbuziente, quando cantava non aveva la balbuzie. Difatti, quando da piccolo l’unico pensiero che dovevo esprimere era obbligatoriamente quello e lo avevo imparato a memoria, allora non balbettavo. Nel mio caso, mi hanno spiegato che la balbuzie era legata a un eccesso di pensiero. In pratica tutti i pensieri volevano uscire contemporaneamente e si creava un ingorgo, tipo raccordo anulare, in cui tutti si spingevano. Allora avveniva questa fase di balbuzie che non permetteva al linguaggio di essere fluido. Così mi sono messo a ragionare prima di parlare, pensando prima a cosa dovessi dire, per poi esprimerlo vocalmente. In questo modo la balbuzie è andata sempre più scemando prima, fino ad arrivare alla situazione attuale. Oggi se sono nervoso o molto stanco può capitare ancora che balbetti ma si tratta di un balbettio circoscritto a pochi inizi di parola, qualche vocale insomma, ma a me non importa niente".
Quindi le persone intorno a te sono state brave a non fartelo pesare?
"In casa con papà e mamma ci siamo sempre presi in giro sulle nostre cose, mio papà me lo ricordo quando andavo da lui e balbettavo. A un certo punto mi diceva: “Aho… e scrivi” (con cadenza scherzosa romanesca ndr.). Si annoiava nel sentire questo balbettio e quindi si andava avanti così, niente di così trascendentale, non ho fatto cure particolari".
L’hai accettata?
"Penso che l’accettazione sia uno dei passaggi fondamentali della qualità della vita. Le cose si possono provare a superare nel momento in cui si presentano delle difficoltà di qualunque genere, ma accettando anche di non poterle per forza superare tutte. In questo modo quella cosa già di per sé in chiave percentile è sconfitta, perché non dai il peso di prima. Buona parte delle cose che ci assillano hanno una valenza oggettiva di un certo rilievo ma poi noi gli diamo una valenza soggettiva in più che aumenta il carico. Diamo talmente tanta importanza che quella afflizione diventa realmente afflittiva. Se invece riesci ad accettare la cosa in sé, la affronti con più serenità".
Paolo Bonolis è la prova vivente che si può sviluppare una grande capacità comunicativa anche da balbuzienti.
"Non è importante come dici una cosa, ma cosa dici: è il contenuto che fa la differenza, non la forma. Ci sono ambiti della comunicazione in cui è più importante il pensiero espresso che come lo dici. Se invece il tuo ambito, oltre a essere questo, è anche quello di dover gestire uno spettacolo, allora è ovvio che la balbuzie molto marcata risulti compromettente. D’altronde uno spettacolo di un’ora finirebbe per durare 3 ore e mezzo. Ci sono quindi ambiti differenti, la comunicazione del pensiero e la gestione di uno spettacolo, con i tempi della televisione, questo è normale".
Quanto ha inciso il fattore psicologico da piccolo?
"Il bambino è influenzato dall’ambiente circostante: chi ti sta attorno ti fa notare che determinate tue caratteristiche sono diverse dagli altri, insomma che hai dei problemi. Quando cominci ad assorbire questo pensiero, se le persone che ti circondano non ti gettano questa problematica sulle spalle ma te la assolvono con serenità, allora non assume dimensioni maggiori. Di sicuro il bambino non è scemo, si accorge che gli altri parlano in maniera fluida e lui impiega più tempo per potersi esprimere, ma non lo avverte come un peso. Questo è quello che è successo a me. Se invece i genitori iniziano a mettersi le mani nei capelli perché il proprio figlio balbetta e i compagni lo prendono per i fondelli e i professori sbuffano perché ci mette troppo tempo a parlare ecc… allora il bambino lo avverte come un problema più grande. Se invece gli altri lo accettano per quello che è, rimane circoscritto a un piccolo problema. Io l’ho vissuto esattamente in questo modo. I miei genitori lo hanno affrontato con semplicità e a scuola gli insegnanti sono stati bravi. Io non vedevo la balbuzie come una cosa grave, capivo che c’era ma si risolveva. Tendenzialmente durante le interrogazioni magari rispondevo per iscritto, ma sempre in un clima di serenità, cioè balbettavo e amen. Non facevo male a nessuno balbettando, al massimo potevo togliere un po’ di tempo a chi avesse dovuto ascoltarmi".
Quindi non c'era il carico di un vissuto negativo?
"Viviamo con la mentalità che tutto ciò che è positivo ci spetti quasi di diritto e ciò che è negativo invece sia una sciagura che ci coglie, una sorta di ingiustizia del destino e delle circostanze. In realtà la vita è fatta di cose positive e cose negative, accadono tutte (Bonolis parla dei problemi in generale, non si riferisce alle balbuzie ndr.). La fine di un film che si intitola “Oltre il giardino di Hal Ashby concludeva dicendo che la vita è uno stato mentale, è come ti poni con la testa nei confronti delle cose che fa la differenza. La vita è fatta così, certe volte ti dice bene, altre ti dice male e quando ti ha detto male, ti ha detto male.
È più il tempo che passiamo a piangere sui problemi che quello che passiamo a gioire delle cose. Kurt Vonnegut disse “quando siete felici fateci caso”, in effetti quando siamo felici e le cose vanno bene non ci facciamo caso, perché ci sembra quello l’unico naturale flusso della vita. Però non è così".
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