Gianfranco Fini e il suo ufficio di presidenza hanno il pallino
in mano sulla questione Ruby. Si tratta di questioni procedurali di
grande importanza: decidere se aprire o no un conflitto di
attribuzioni con i magistrati di Milano. Più o meno in concomitanza al
Senato la giunta delle immunità parlamentari dovrà pronunciarsi
sulla richiesta di arresto nei confronti del senatore del Pd,
Alberto Tedesco. Su queste due storie si gioca un pezzo importante del
rapporto tra politica e giustizia.
La vicenda Tedesco, per i lettori del Giornale ,
è nota. L’ex assessore alla Sanità della giunta Vendola è coinvolto
in un giro di malaffare nella sanità pugliese. La procura di Bari
ha proceduto a vari arresti, ma si è dovuta fermare di fronte
all’immunità di Tedesco subentrato di fretta e furia al Senato grazie a
un compagno di partito che si dimise. Abbiamo dato ampiamente conto
della vicenda. Raccontando quegli intrecci perversi nella sanità
pugliese (circa il 70 per cento del bilancio della Regione) che hanno
riguardato la giunta di Vendola e il Pd. Così come non abbiamo potuto
fare a meno di mettere in evidenza la furbata di farsi «nominare »
in parlamento grazie a una provvidenziale dimissione. La procura di
Bari chiede l’arresto poiché ritiene possibile la reiterazione del
reato, nonostante egli non sia più assessore da due anni. Questi
sono i fatti.
Ebbene, sarebbe assurdo che la giunta del Senato
concedesse gli arresti per il senatore del Pd. Per chi scrive, e lo
testimoniano i nostri numerosi pezzi, Tedesco e la sua cricca
dovranno rispondere della pessima gestione della Sanità. Non molleremo l’osso. E si ci sono reati dovranno evidentemente pagare. Ma non è accettabile che i processi si celebrino in carcere. Non è
accettabile che Silvio Scaglia e Mario Rossetti, il suo cfo nel caso
Fastweb, siano stati rinchiusi per un anno senza sentenza. In un
paese civile non si può e non si deve tollerare l’abuso della
carcerazione preventiva per il ricco e potente, come per
l’invisibile. Per Tedesco non può essere un aggravante il fatto di
essere senatore della Repubblica.
Il Pd deve avere il coraggio di difenderlo in Giunta. Non è uno schiaffo alla «gente comune». È un impegno perché la presunzione di innocenza resti un caposaldo del nostro sistema e perché il carcere ci sia, ma solo a sentenza definitiva. Abdicare a questo principio per il Pd sarebbe una follia. Si potrà cullare del fatto che in Giunta al Senato la maggioranza del Pdl voterà, come ha sempre fatto, contro l’arresto. Ma sarebbe un arrendersi ai suggerimenti forcaioli di quattro intellettuali scalmanati che gradirebbero vedere la fine di Berlusconi per ragioni giudiziarie più che politiche. E che confondono il tintinnio delle manette con il suono della politica. È la rinuncia al proprio ruolo. E lo diciamo con maggiore difficoltà, proprio pensando a quella commistione affari e sinistra, che con forza abbiamo denunciato. Ma per sconfiggerla è necessariala politica e non la carcerazione preventiva. Un segno forte di garantismo da parte sia di Fini sia del Pd, contribuirebbe ad affossare quel bipolarismo marcio che imperversa in Italia: da una parte i giudici dall’altra la politica.
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