Berlusconi: «Via gli indagati dalle liste»

RomaFosse per lui, si getterebbe ancora nella mischia, come sempre: «Io, personalmente, non temo per la mia vita». Ma non è più aria: «I professionisti della sicurezza mi invitano ad usare una particolare prudenza». Fosse per lui, ad ogni passo continuerebbe a sorridere davanti ai flash, stringere più mani possibili, raccontare aneddoti e barzellette, rilanciare le note battute rivolte al genere femminile. Ma adesso «mi dicono che non devo andare in giro a fare campagna elettorale, che c’è ancora chi mi aspetta dietro l’angolo per farmi fuori...». Silvio Berlusconi torna sull’allarme lanciato da chi ha in cura la sua sicurezza personale. Ne parla ai cronisti che lo intercettano in tarda mattinata a Palazzo Grazioli, ma anche ai 15-20 senatori Pdl, capitanati da Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, ricevuti mercoledì a ora di cena.
L’occasione giusta per fare il punto sulle prossime mosse da seguire, a Palazzo Madama ma non solo, e per ricordare che la volontà di disarcionarlo non rappresenta però una novità. «Già nel ’94 - incalza il Cavaliere - hanno cercato di farmi fuori con le indagini giudiziarie, con gli avvisi di garanzia. Poi hanno cercato di rovinare le aziende della mia famiglia, ma anche in questo non ci sono riusciti. E allora cercano di farmi fuori fisicamente». Insomma, «non è cambiato nulla». Così come non è cambiata l’abitudine del padrone di casa - che continua a definire «pazzesca» la sentenza sul Lodo Mondadori, per cui «sono costretto a dare 750 milioni di euro al signor tessera numero 1 del Pd», ovvero Carlo De Benedetti - nell’utilizzare l’ironia anche quando si affrontano tematiche serie. C’è spazio infatti per la storiella in cui Luciano Violante mette al corrente Massimo D’Alema di come sia difficile eliminare Berlusconi. Ecco la scena: incendio nella residenza di via del Plebiscito, il presidente del Consiglio sale all’ultimo piano, poi si butta, ma finisce su un tendone e rimbalza sui fili dell’alta tensione. Siccome ha le scarpe di gomma non muore, finisce sull’asta di una bandiera turca e sopravvive ancora. «E alla fine cosa avete fatto?, chiede D’Alema. Abbiamo dovuto abbatterlo, risponde Violante». Risate. Tante da aggiungere: «Sono stato così bene con voi che quando sarò anziano mi farò fare senatore a vita». E Gianni Letta? «La presidenza della Repubblica è un posto per chi ha dato tanto, è un posto per lui».
Intanto, però, c’è da chiudere le liste per le Regionali. E il premier, ribadendo la linea del «garantismo», invita tutti ad una grande attenzione nella scelta dei candidati, per «non offrire ai nostri avversari motivi per attaccarci». «Non voglio nessuno in lista che sia compromesso» e «chi sbaglia e commette dei reati non può pretendere di restare in nessun movimento politico». Ma le sentenze debbono essere passate in giudicato? «Dipende da caso a caso: noi abbiamo deciso che le persone che sono sottoposte a indagini o processi in via di principio non debbano venire ricomprese, ma anche che se ci sono dei dubbi sulla loro colpevolezza sarà l’Ufficio di presidenza a decidere». Una linea condivisa in pieno con Gianfranco Fini, sancita durante il pranzo di ieri, allargato a coordinatori e capigruppo del Pdl, in cui si è concordata la necessità di evitare nel modo più assoluto che possano entrare «persone discusse». E che in queste ore sta portando ad una concreta limatura di nomi e curriculum da inserire, dal Nord al Sud senza distinzione.
Un passaggio che non si lega però, secondo il premier, alla paura verso un nuovo ciclone giudiziario-mediatico: «Non c’è nessun ritorno di Tangentopoli», anche perché «tutti i partiti hanno il finanziamento pubblico». Dunque, si tratta di «fatti personali che rientrano nelle statistiche» e che dimostrano come «su cento persone, si sa, non ci sono cento santi», ma possono esserci «uno, due, tre, quattro o cinque individui birbantelli o birbanti, che approfittano della loro posizione per interesse personale». Ciò «vale per le imprese private, e io lo so bene perché li ho avuti nelle mie, e vale per i sindacati, per la magistratura e persino per i carabinieri, un’arma straordinaria la cui solidità morale è riconosciuta da tutti, ma che, anche lei ha avuto dei casi di singoli che non si sono comportati come si dovevano comportare». Comunque sia, sottolinea il premier, «per quanto riguarda i reati di corruzione, ho in animo di presentare un provvedimento, addirittura nel prossimo Consiglio dei ministri, allo scopo di inasprire le attuali norme».
E ancora. Dopo aver rinnovato l’invito a «passare dalle parole ai fatti» sulla riforma della giustizia, il Cavaliere prende di mira il Csm - portando ad esempio Ilda Boccassini - «che premia i magistrati che mi attaccano». Si passa al capitolo intercettazioni. «Sono un’indecenza», sbotta Berlusconi, sempre convinto che certe frasi, estrapolate dal contesto e scritte senza che se ne capisca il tono, «danno un’idea completamente diversa» dall’intenzione originale. «Guido Bertolaso è stato ingannato», è quindi il caposaldo del ragionamento. E «la vergogna è stata quella di pubblicare intercettazioni che non c’entrano nulla con le inchieste». Gli stralci che compaiono sui giornali sono quindi «solo fango e rovinano la vita delle persone. Ho sempre sostenuto il principio del rispetto della vita privata, un principio per me sacro. Anche per questo mi dispiace di quanto Il Giornale ha pubblicato a proposito del dottor Massimo Fini e me ne dissocio pubblicamente». Ecco perché serve un’accelerata al disegno di legge fermo al Senato. «È un testo che non mi convince del tutto, perché lo vorrei più severo - rintuzza il presidente del Consiglio - però è meglio della situazione attuale che è di barbarie pura. Quindi proseguiremo con quello». Ipotesi decreto? «Non ne ho mai sentito parlare».
Si chiude con la par condicio, che si deve «modificare subito». «Non è giusto - spiega Berlusconi - che un partitino possa diventare un partitone...».

E poi, aggiunge, «Casini e Di Pietro vanno molto bene perché sono sempre loro a parlare» in tv, mentre nel Pd e nel Pdl «si alternano più di dieci persone diverse e il pubblico da casa non ricorda più nomi e facce». Quindi, «non è concepibile andare avanti così», conclude il Cavaliere, riferendo degli ultimi sondaggi sul Pdl: «Oscilliamo tra il 39 e il 41%».

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