Ieri entrambi hanno respinto le accuse che li hanno spediti dritti dritti a San Vittore e, attraverso il loro legale, l’avvocato Giuseppe Pelazza, hanno dichiarato di non aver mai fatto parte di alcuna organizzazione terroristica, come ripeteranno anche durante l’interrogatorio di garanzia di domattina. Tuttavia gli investigatori non hanno dubbi: Manolo Morlacchi e Costantino Virgilio, i due milanesi di 39 e 34 anni arrestati lunedì dalla Digos con l’accusa di appartenere alla formazione «Per il comunismo Brigate Rosse», sarebbero corresponsabili del fallito attentato del 26 settembre 2006 alla «Vannucci», la caserma livornese della Folgore celebre per essere la base del Col Moschin, il reggimento delle forze speciali dell’esercito. Ed è proprio dall’aver partecipato all’ideazione e alla realizzazione di quel piano che derivano principalmente le accuse di partecipazione a banda armata e associazione sovversiva pendenti su di loro. Il leader carismatico tra i due, probabilmente anche per la sua eredità storica, per la polizia è certamente Morlacchi, figlio di Pierino, co-fondatore del primo nucleo delle Br. «Virgilio è una sorta di figura minore, di “portatore d’acqua - spiegano gli inquirenti - anche se le sue conoscenze in campo informatico sono state fondamentali per il gruppo».
Stando alle intercettazioni ambientali, telefoniche e al materiale trovato sui computer, insomma, i due sarebbero in tutto e per tutto complici dei cinque terroristi catturati lo scorso giugno tra Roma e Genova: i romani Luigi Fallico, 57 anni (considerato il capo del gruppo e soprannominato «gatto») e il 38enne Bernardino Vincenzi, il sardo Bruno Bellomonte, 60 anni e i genovesi Riccardo Porcile, 39 anni (custode delle armi della banda nella sua abitazione nel capoluogo ligure) e Gianfranco Zoja, 55 anni.
Il giorno dell’attentato di Livorno due paracadutisti, mentre stavano uscendo dalla caserma, notarono in una siepe dei giardinetti una borsa blu sul marciapiede, con un tubo metallico da cui usciva un po’ di fumo. Il tubo era puntato verso l’ingresso principale della caserma. Uno dei due militari per spostare la traiettoria, diede un calcio alla borsa e quella esplose. Un botto fortissimo. Il borsone blu s’incendiò e un pezzo di metallo, alla velocità di un proiettile, finì nei giardini della caserma, a una distanza di 60-70 metri, altri pezzi si sparsero intorno. I due militari, storditi dallo scoppio, furono ricoverati.
«La formazione si proponeva come erede del disegno eversivo delle Brigate Rosse - sottolineano gli investigatori -. Nel giugno scorso, quando vennero arrestati i primi 5 componenti (mentre Morlacchi e Virgilio furono perquisiti e indagati a piede libero in attesa di valutare il materiale ritrovato nelle loro abitazioni e sul posto di lavoro) il gruppo si stava preparando ad entrare in azione con la preparazione di un attentato alla Maddalena, poi spostato all’Aquila, nei giorni del G8. Morlacchi e Virgilio condividevano in pieno la strategia della banda, quella della lotta armata si rivela come sempre una scelta irreversibile».
In questura, ma solo per accertamenti, sono finite anche le compagne dei due arrestati che sono anche le madri dei loro figli: Manolo Morlacchi, infatti è padre di due bambini e Costantino Virgilio di uno.
Intanto gli investigatori stanno valutando i legami dei due con i centri sociali.
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