Bravi Stones. Non sono mai stati così Rolling

Intanto provateci voi. Vabbé, uno dice, oggi c'è la tecnologia, c'è persino l'autotune, tutti sono buoni a fare un disco così anche a ottant'anni

Bravi Stones. Non sono mai stati così Rolling
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Intanto provateci voi. Vabbé, uno dice, oggi c'è la tecnologia, c'è persino l'autotune, tutti sono buoni a fare un disco così anche a ottant'anni. Può essere, ma l'attitudine è decisiva, quella ce l'hai oppure no e i Rolling Stones ce l'hanno. Quindi chissenefrega dell'età, anche perché suonano più giovani oggi di quando hanno pubblicato diciott'anni fa il precedente disco di inediti. Il loro nuovo Hackney Diamonds tutto sembra tranne che una compilation di nostalgia. È rough, ruvido, balla tra blues del Mississippi (Rolling Stone) e rock seventies (Get close potrebbe uscire da Exile on main street) e soprattutto non fa alcuna concessione alle mode del momento (qualche volta agli Stones è capitato, vedi Emotional rescue del 1980). Sì certo, ci sono ospitoni in questo disco, a parte Charlie Watts, pace all'anima sua, che ha suonato in Mess it up e Live by the sword, dove si sente anche il basso di Bill Wyman, bassista fondatore e oggi agilissimo quasi 87enne. C'è Lady Gaga che canta altissima nella blueseggiante Sweet sound of heaven con un Mick Jagger più ispirato del solito. Ci sono il basso di Paul McCartney in Bite my head off e il pianoforte di Elton John in Live by the sword e Get Close.

Ma c'è soprattutto un'atmosfera così deliziosamente demodè da sembrare persino inedita con strumenti come l'armonica che spunta qui e là o citazioni come l'Hank Williams (idolo country morto nel 1953) cui Mick Jagger accenna in Dreamy Skies. Se questo sarà l'ultimo disco dei Rolling Stones, beh, diventerà il miglior testamento possibile.

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