Brunetta, il super-ministro che assedia la Laguna rossa

nostro inviato a Venezia

Il bollettino della vox populi - sondaggio ruspante che se ne infischia dei divieti di pubblicazione - gira ormai da giorni tra calli e rii, tra canali e fondamenta. Prevede che non ci saranno alte maree. Né su una sponda, né sull’altra. Dice insomma che sarà con tutta probabilità un risultato giocato sul filo dell’acqua ferma e immota della laguna quello per decidere chi, tra il venezianissimo ministro Renato Brunetta, capolista del Pdl, e l’avvocato Giorgio Orsoni, candidato di una folta e variegata coalizione che va dal Pd a Rifondazione e Comunisti italiani, passando attraverso l’Italia dei valori e la sempre più ondivaga Udc casiniana, sarà il prossimo sindaco della città Serenissima. Potrebbe insomma andare a finire che nessuno dei due candidati ce la faccia al primo turno, con la conseguente necessità di dover rimandare tutto alla gran lotteria del ballottaggio.
Agli occhi di chi veneziano non è, o di questa città è soltanto un conoscitore ed estimatore turistico, l’attuale corsa al palazzo municipale potrebbe apparire come una delle tante disfide da campanile che hanno sempre riguardato e che sempre riguarderanno l’Italia. Paese, non a caso, di campanili. L’osservatore distaccato vede insomma questa disfida come la solita valanga di manifesti e striscioni, di comizi e incontri. Il tutto destinato poi a riassumersi, a urne chiuse e a schede scrutinate, nella sbrigativa sintesi televisiva di due fotografie di primo piano affiancate da altrettante cifre percentuali. Vincitore e sconfitto. Un sorriso e una smorfia. E via con la prossima schermata.
Invece no. Ciò che è in gioco ora a Venezia vale ben più di una coppia di fotografie e di due percentuali. Il voto stabilirà infatti se anche l’ultimo dei palazzi veneziani del potere - rimasto da decenni sotto il saldo controllo della sinistra - passerà, oppure no, di mano. Perché dopo Palazzo Balbi, sede della Regione, che è il primo e saldo fortilizio locale del centrodestra sotto il quindicennale «dogato» di Giancarlo Galan (e ora del suo sicuro successore, Luca Zaia); e dopo Ca’ Corner (la Provincia), capitolata lo scorso anno tra la sorpresa di molti, meno che di Umberto Bossi, sotto l’assalto della bella e bionda leghista Francesca Zaccariotto, l’unico edificio superstite del potere della sinistra è quello di Ca’ Farsetti. Sede appunto del Comune.
A confrontarsi è una coppia di candidati accomunati quantomeno da un’indiscussa venezianitudine per via di sangue, ma da ben poco altro. Tanto notoriamente vivace e sulfureo è Brunetta, infatti, quanto poco entusiasmante pare risultare Orsoni. I due, poi, sono agli antipodi anche per censo. Almeno come censo alle origini. Perché all’ultrapopolare (di nascita) ministro Brunetta, figlio di ambulanti nel sestiere proletario di Cannaregio, lo schieramento opposto contrappone il sessantatreenne Giorgio Orsoni, importante avvocato amministrativista, docente universitario, nonché - ostregheta! - addirittura Primo Procuratore della Basilica di San Marco. Un prestigiosissimo incarico dall’antica storia, perpetuatosi com’è, giù giù per li rami, dai tempi dalla Repubblica Serenissima fino ai giorni nostri. Ruolo che lo pone con almeno un piede nelle sacre stanze veneziane. E che lo censisce senza alcun dubbio come esponente della città che conta. Nel senso del potere, ma anche degli schei.
Una caratterizzazione per censo, quella dell’avvocato Orsoni, confermata del resto anche da un’altra poltrona sulla quale è assiso, quella dello Yacht Club veneziano. E ribadita anche da certi pregevoli e preziosi pezzi d’antiquariato che si favoleggia adornino il suo studio professionale. Come per esempio una collezione di rare tazze in porcellana plasmate apposta in modo da poter essere utilizzate da bevitori baffuti, o un antico calcio balilla con i giocatori scolpiti nella radica.
Di certo, ora, nemmeno il ministro Brunetta è uno che economicamente se la passi male.

Resta però il fatto che a Venezia il centrosinistra/sinistra estrema (perché tale è oggettivamente lo schieramento) continua a riproporre candidati che - da Paolo Costa (di cui Orsoni è stato assessore in una passata amministrazione) a Massimo Cacciari - di popolare hanno avuto e continuano ad avere ben poco. Per non dire nulla.

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