Clausola rescissoria saldata. In totale fanno 48 miliardi delle vecchie lire. Ma per uno così ogni centesimo, riflette il patron Massimo Moratti, dev'essere senz'altro ben speso. Atterra di mattina presto, Luìs Nazario de Lima, per tutti Ronaldo. Alle sei e cinque minuti calpesta già il suolo di Fiumicino, dopo essersi sciroppato un volo transoceanico. Poi si infilerà su un altro aereo alla volta di Milano. Quando finalmente scende, è come fosse un allunaggio. Solo che il satellite siamo noi. Lui è l'alieno venuto a conquistarci.
Scoccano le otto in punto. Si lavora la scaletta accolto dalla luce già ambrata del sole, mentre a Roma pioveva. Jeans neri. Camicia a quadri. Sorrisone con la finestra nel mezzo che già si allarga. La gente interista è in deliquio. No, questo qua non è uno normale. Questo qua può fare la differenza come mai era capitato prima. A soltanto vent'anni Ronnie è già un opificio del gol. In Brasile ha divelto retroguardie con innaturale disinvoltura. Arrivato alla gran prova dell'Europa, il continente dove prevale la tattica e le maglie si serrano, ha comunque fatto spallucce. Cinquantaquatto reti in 57 partite ufficiali con il PSV. Vabbé è l'Olanda, ciarlano gli improvvisati detrattori. Allora Spagna. Barcellona. Qui ne fa 47 in 49 gare. Praticamente il vecchio continente è già un suo enclave. Fa tutto a velocità ipersonica e tutto benissimo. Troppo luccicante per non appiccicargli le pupille addosso.
Quindi Moratti si fruga. Materializza una libidine che non poteva nemmeno essere sussurrata. Fuori è il 25 luglio 1997. La gente lo bracca. Lui, accompagnato dalla fidanzata, si ferma volentieri a distribuire autografi. Quando la mano diventa eccessivamente indolenzita dribbla la pazza folla e se ne va a pranzo con Moratti, Sandro Mazzola e Luis Suarez. Poi, intorno alle 16, a digestione completata, sale le scale della sede interista di via Durini e si affaccia. I tifosi sono sempre lì, in mucchio esorbitante. Lui agita la mano come fosse un novello pontefice. Sicuramente è il più degno rappresentante del Dio calcistico su quella terra, in quel momento, e probabilmente anche per gli anni a venire.
Diceva di lui Fabio Cannavaro: "Per la mia generazione è stato quello che Maradona o Pelé erano per le precedenti. Era immarcabile. Al primo controllo ti superava, al secondo ti bruciava, al terzo ti umiliava. Sembrava un extraterrestre". Ritratto ineccepibile. Ronaldo non ha nulla da spartire con le penose vicende terrene. Trova spassose le difese che lo marcano a uomo, nel tentativo estremo di arginarlo. Possiede un giacimento di finte inesauribile. Un repertorio di mostruose sterzate e cambi di direzione. Si sollazza con il doppio passo. E, oltre il circense spettacolo, crivella i portieri senza alcuna deferenza.
Due giorni dopo c'è la Pirelli Cup a San Siro contro il Manchester United di Sir Alex Ferguson. Il pretesto succoso per vedere subito l'extraterrestre all'opera. Arrivano in cinquantamila, anche se il clima è vacanziero, quasi tutti indossando la maglia nerazzurra. Sul campo, Aldo, Giovanni e Giacomo simulano uno svenimento quando lo annunciano. Gigi Simoni gli concede uno spezzone: farà coppia con Ganz per 17 minuti, prima di essere sostituito da Zamorano. Fa comunque in tempo a piazzare un paio di accelerazioni terrificanti. Quell'Inter è abitata a centrocampo dai Djorkaeff e i Simeone, in porta c'è Pagliuca e davanti Kanu ritorna commuovendo tutti. Ma gli sguardi sono tutti per Ronnie.
Alla fine, assediato dalla stampa e abbracciato da una muraglia di bambini, parla ai microfoni: "Il mio primo contatto con il pubblico dell'Inter è stato molto bello. Ho capito che San Siro è uno stadio ideale per giocare a calcio.
Sono felice. Adesso devo lavorare per aumentare la mia resistenza, per raggiungere una tenuta sui novanta minuti".L'incipit di una storia destinata a stravolgere i paradigmi esausti del calcio italiano e di quello globale.
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