Fiorello a gamba tesa contro Qatar e Rai: ma scorda il nodo servizio pubblico

Fiorello critica lo svolgimento dei Mondiali in Qatar (legittimo e giusto) chiedendo però alla Rai di non coprire l'evento per il tema dei diritti umani. Ma c'è il nodo servizio pubblico

Fiorello a gamba tesa contro Qatar e Rai: ma scorda il nodo servizio pubblico

Partire da una critica legittima e arrivare a un risultato errato. Questo quanto fatto da Rosario Fiorello sui Mondiali in Qatar. Il noto showman ha attaccato la decisione della Rai di acquistare i diritti tv del Mondiale 2022 su “Aspettando Viva Rai2!“, appuntamento quotidiano in diretta alle 7.15 sul suo profilo Instagram, sottolineando che "si dovrebbero ritirare tutti da questo Mondiale – prosegue Fiorello -. Un Paese dove tutti gli abitanti, ‘i qataresi’ (ride, ndr), sul loro zerbino hanno scritto ‘Diritti umani’. E loro li calpestano ogni giorno". La Rai, nota Fiorello, ha speso 200 milioni di euro per ottenere dalla Fifa i diritti Tv e li trasmetterà integralmente, nonostante l'assenza dell'Italia.

La manovra prende le mosse da una critica sull'assenza di tradizione calcistica del Paese del Golfo, che comunque nel 2020 si è laureato con la sua Nazionale campione d'Asia. "Quando mai in Qatar hanno giocato a pallone? Quando mai lì c’è stato un campionato di calcio? Dove giocavano nei pozzi di petrolio? Non c’era lo spazio. C’erano le trivelle".

L'assegnazione del Mondiale al Qatar è stata frutto di un processo assai discusso su cui aleggia l'ombra della corruzione, tanto da esser stata contestata anche dall'ex presidente della Fifa Joseph Blatter. Ma oramai il Mondiale è assegnato e in dirittura d'avvio e, come si sta in queste settimane studiando su IlGiornale.it, la Coppa del Mondo è sempre stata profondamente politicizzata fin dalla prima edizione nel 1930.

Si può criticare l'ipocrisia del The Show Must go on! che ha portato i Mondiali al Qatar oltre ogni ragionamento realistico sulla qualità del suo mondo calcistico e la sua assenza di tradizione. Si può - e a nostro avviso si deve - ricordare come la Fifa, dall'era di Joao Havalange ad oggi - non ha avuto problemi a stringere la mano a regimi sanguinari, assassini, dittatori. Il caso dei Mondiali 1978, disputati nell'Argentina dei desaparecidos, lo testimonia. Contrasti, testata online di riferimento del dibattito sportivo, già nel 2021 sottolineava "il solito doppiopesismo occidentale" sui Mondiali in Qatar, del resto aspramente criticati per la stortura dell'elemento sportivo su quello business. Un processo, notava Contrasti, "che con il tema Qatar ha raggiunto livelli patologici: intanto l’assegnazione, come se fosse stata l’unica “corrotta” al contrario di quelle sempre trasparenti europee. Nel 2011 era stato addirittura Der Spiegel a spiegare come «i tedeschi non dovessero l’assegnazione del 2006 solo al loro fascino», per non parlare di altre designazioni ancor più critiche". In secondo luogo, il Qatar sembra quasi esser stato scoperto ora: anni di investimenti, dalla Volkswagen a Porta Nuova a Milano, erano stati stigmatizzati da pochi (tra cui, in Italia, Massimo Fini) perché paecunia non olet. E anche in Italia, possiamo dirlo, il coro di Vip e celebrità contro il Mondiale 2022 è iniziato dopo l'eliminazione dell'Italia.

Il problema non è il Qatar o il Mondiale in sé, ma il meccanismo che porta a questo. Il sistema dello show business da cui artisti come Fiorello traggono i loro successi ormai ha coinvolto anche il calcio. E il calcio globalizzato ha scelto i Mondiali in Qatar oltre un decennio fa, senza che governi e imprese battessero ciglio. Attaccare a testa bassa un popolo intero confondendolo con un governo indubbiamente repressivo non giova a sgombrare il campo, stigmatizzare la storia di una Nazionale che ha fatto indubbi progressi negli anni non risolverà il problema dei lavoratori fatti morire per anni nel silenzio. Il sistema di fondo è inefficace e non funzionale, su questo si è d'accordo. Ma i Mondiali sono e restano un evento globale degno di servizio pubblico. Nel 2008 e nel febbraio scorso le Olimpiadi di Pechino sono state trasmesse ovunque, dall'Arabia Saudita a Singapore Paesi tutt'altro che democratici ospitano ogni anno Gran Premi di MotoGp e Formula Uno, per non parlare delle Supercoppe italiane giocate nel Golfo. Tutto questo può non essere giusto. Ma non è col cherry-picking che porta a boicottare selettivamente un evento che si risolverà il problema.

Forse la Rai dovrebbe venire meno nella sua copertura del G20 qualora si svolgesse in Cina? Il caso prospettato da Fiorello, che lega diritti umani e copertura televisiva, non centra il punto, pur essendo sintomatico di un malessere di fondo della comunità culturale italiana che potrà dare i suoi frutti se in futuro mobiliterà politica e mondo economico ad azioni preventive. Altrimenti ogni critica si esaurirà con i post Instagram e con la conseguente carica di indignazione.

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