Certi personaggi sono talmente entrati nella testa degli italiani da farli sembrare eterni, indistruttibili. Forse per questo che la reazione di molti ai 70 anni di Francesco “Ciccio” Graziani è stata simile alla mia: “Non ci credo, impossibile”. Poi ti fermi un attimo, fai due conti e ti ricordi come, quel giorno al Balaidos di Vigo, quando il suo colpo di testa fece scivolare N’Kono regalando all’Italia un posto ai quarti di finale, avevi appena 10 anni. Il tempo passa per tutti, anche per Ciccio. A vederlo ogni settimana in televisione mentre parla di calcio alla sua maniera, genuina, come se stesse al bar con gli amici, non si direbbe, ma di strada ne ha fatta proprio tanta da quando tirava calci ad un pallone nella sua Subiaco.
Raccontarne la vita è impossibile ma necessario. Per chi non ha avuto la fortuna di vederlo giocare, Ciccio è solo un personaggio televisivo, una nota di colore che fa sempre simpatia. Il fatto che sia stato uno dei più grandi bomber del calcio italiano è dimenticato da troppi. Ciccio da Subiaco al gol ha sempre dato del tu, fin da quando, 50 anni fa, passò dall’Arezzo ad una grande decaduta con l’ossessione di tornare a vincere, il Torino.
Il gemello del gol
Il nome di Graziani nella memoria dei tifosi granata non può essere separato da quello di Paolo Pulici e Claudio Sala, le pietre angolari sulle quali Gigi Radice avrebbe costruito il suo Toro all’olandese. Gli inizi, però, non sono affatto semplici: nonostante il primo gol segnato a Bologna il giorno del 21° compleanno, il rapporto con Fabbri non è dei più semplici. Troppo rude il tecnico, troppo esuberante lui. Quando alla fine della stagione 74/75 lo sposta sulla fascia destra, non gliele manda a dire, caratteristica che lo ha accompagnato per tutta la vita. A riportarlo in area e creare la coppia di avanti perfetta è Radice, che grazie a loro riesce a riportare lo scudetto al Toro, il primo dopo la tragica fine degli invincibili di Valentino Mazzola. Quando a Cesena arrivarono i punti decisivi sugli spalti c’era uno striscione emblematico: “Forza ragazzi, Superga vi guarda”. L’anno dopo fece ancora meglio dei 15 gol, vincendo il titolo di capocannoniere, ma al Toro non riesce la doppietta. Graziani faceva di tutto, anche il portiere, come successe contro il Borussia Moenchengladbach in coppa, ma il suo mestiere è fare gol. Le reti arrivano, in quantità industriale ma il Torino non riesce a ripetersi. Con la crisi finanziaria, uno spogliatoio in tumulto e la protesta del pubblico crescente, l’amore tra Ciccio e i granata si spegne. Alla Viola troverà Pecci ma non il suo gemello: Graziani è costretto a cambiare tutto e reinventarsi. Non sarà l’ultima volta.
Ciccio gregario mondiale
Alla corte dei Pontello Ciccio si trasforma da centravanti puro, il tipico rapace dell’area piccola, ad un gregario di lusso, una spalla per la punta titolare. Graziani si adatta senza troppi mugugni ed i risultati si vedono sia in campo che fuori. Nel nuovo ruolo Ciccio è ancora fondamentale nella cavalcata dei viola di De Sisti, che sfiorano il titolo nella stagione 1981/82. Qualche tempo fa, Graziani disse che senza l’infortunio di Antognoni con il portiere del Genoa Martina, avrebbero meritato il titolo. “Ci ha privato di una pedina fondamentale per molte partite. Con lui in campo avremmo sicuramente ottenuto quei due punti in più che avrebbero consegnato lo scudetto alla Fiorentina”. La generosità e umiltà gli garantiscono un posto a fianco di Paolo Rossi nella nazionale di Bearzot e un ruolo da titolare nel trionfo di Spagna '82. Dopo la comparsata in Argentina, stavolta Ciccio è protagonista, sia contro il Camerun che più avanti. La fortuna, però, non è dalla sua parte.
Lasciamo che a parlare sia lui, con un brano dell’intervista che ha rilasciato al Corriere Fiorentino: “Dopo sette minuti mi faccio male alla spalla in finale, proprio io che venivo considerato quasi indistruttibile. Mi chiedono se voglio rimanere con un’iniezione di novocaina, ma la partita è troppo importante e preferisco non mettere in difficoltà la squadra, perché davvero il noi veniva prima dell’io. Entra Altobelli e segna…”. Il ritorno trionfale, il rapporto speciale con l’altro gemello diverso, Antognoni, Bertoni e Massaro che tenevano sempre palla, un periodo felice macchiato dalla sconfitta nella rincorsa scudetto e il gol annullato che lui considera da sempre regolare. Parecchi rimpianti che non macchiano però il rapporto con la città. Basta sentire una qualsiasi delle trasmissioni che fa su Radio Sportiva per rendersi conto di quanto i tifosi viola gli vogliano ancora bene.
Quel maledetto rigore
La delusione convince Graziani ad accettare la corte della Roma di Liedholm che, dopo lo storico secondo scudetto, è a caccia di rinforzi per la cavalcata in Coppa dei Campioni. Tornare a casa per lui, che a Roma si è fatto le ossa ed era stato scartato dal Mago Herrera perché “troppo magro” è un riscatto di quelli importanti e Ciccio si lancia anima e corpo. Un cammino quasi trionfale che però si infrange sul beffardo ghigno di Bruce Grobbelaar e le sue sceneggiate nella porta dell’Olimpico. Quel rigore sbagliato non l’ha mai dimenticato: qualche tempo fa dichiarò che se lo sognava ancora la notte. Sul dischetto, però, si presenta, non come l’amico Falcao, troppo nervoso. Le due Coppe Italia non rendono meno amara la permanenza a Trigoria, dopo i maledetti rigori in finale e il terzo titolo sfuggito per poco nell’86. Ormai non segna più molto ma è sempre utile alla causa. L’aria però si sta facendo pesante: tempo di cambiare ancora, prima che la situazione degeneri. Le due ultime annate ad Udine sono malinconiche, tra infortuni e poche reti, ma al Friuli lo ricordano ancora con affetto. Si concede anche una fuga ante litteram verso campionati esotici come quello australiano ma, ormai, è il momento di appendere gli scarpini al chiodo. Tempo di guardare oltre, ma senza abbandonare il calcio. Quello è la sua vita.
L'allenatore col pallone
A chiamarlo per primo è la squadra della città che ha amato di più, Firenze. Dopo l’esonero di Giorgi è al timone della Fiorentina per pochi mesi, tempo di ottenere la salvezza e di approdare alla finale di Coppa Uefa, il doppio sfortunato incrocio con la Juve che all’ombra del Duomo nessuno dimenticherà nemmeno tra cent’anni. Ciccio però è poco politico ed ha poca voglia di fare quel che bisogna fare per tenersi una panchina. Ad Ascoli non dura nemmeno il tempo di debuttare in Serie B che già litiga col vulcanico presidente Rozzi e se ne va sbattendo la porta. Graziani viene spesso chiamato a campionato in corso, quando la situazione è già disperata o quasi. Alla Reggina fa il possibile ma non evita la retrocessione; l’anno dopo prende il posto di Bruno Bolchi all'Avellino ma neanche stavolta si salva.
La vita dell’allenatore, insomma, non fa per lui ma al calcio non riesce proprio a rinunciare. Nel 1993, dopo il fallimento della squadra della città di sua moglie, Arezzo, guida un comitato di tifosi ed imprenditori e fa rinascere la società, ripartendo dalla Serie D. Il calcio di provincia è difficile, ingrato ma Ciccio tiene duro. Gli anni 2000 lo vedono tornare in panchina prima al Catania, che riporta in B, poi a Montevarchi, dove dura ancora meno. Servirebbe qualcosa in grado di unire i due mondi che ama di più: il pallone e lo spettacolo. Per fortuna arriva una chiamata che gli cambierà la vita: farà l’allenatore ma seguito da uno stuolo di telecamere. Il programma si chiama “Campioni” e fa la storia della televisione italiana.
Ciccio il personaggio
Le due stagioni passate a Cervia fanno conoscere il campione di Spagna 82 in maniera impensabile qualche anno prima. Il campione del passato diventa un personaggio televisivo, una presenza ancora più riconoscibile, con i difetti ed i pregi di una persona mai banale e sempre schietta, onesta. La chiusura del programma è un colpo non semplice da superare ma Ciccio non si perde mai d’animo. Le comparsate si moltiplicano, i programmi diventano due, cinque, dieci, Graziani è molto ricercato, al pubblico piace, fa simpatia, la gente ci tiene a sapere cosa pensa. Il suo segreto lo confessa al collega del Corriere: “la gente si accorge se sei finto oppure no e sinceramente non ho fatto alcuna fatica, non ho interpretato nessuno, ero solo me stesso”. Invece di fare l’imbianchino a Subiaco con Pasquale, il suo piano B quando era giovane, ora passa da un programma all’altro, da un’intervista a rispondere alle domande del suo pubblico alla radio.
Come si sente a settant’anni? “Non li sento proprio e in questo mi aiuta la vita che faccio. Ho sempre creduto che una delle principali virtù dell’uomo fosse l’umiltà, per questo sono stato disponibile con tutti, dal magazziniere a chi dava i biglietti, ed è forse il motivo per cui si ricordano di me con piacere nelle città dove ho giocato”. Un personaggio che non si dà tante arie, con una famiglia normale, che non guida un macchinone da star del piccolo schermo, che ricorda sempre quando di soldi in casa ce n’erano pochi e la fatica che facevano i genitori per sbarcare il lunario. Forse è anche per questo che piace tanto. Ciccio non si è mai montato la testa e questo la gente lo capisce al volo.
Tanti auguri Ciccio
Settant’anni sono tanti ma non quando ti ostini a pensare solo al futuro. Dietro di sé tante memorie, l’amicizia col Presidente Pertini, i compagni di squadra che non ci sono più, gli eventi divertenti o curiosi che hanno riempito la sua vita, tutti lì, in fila, nella camera dei ricordi. Ti aspetteresti che una data così importante sia di quelle speciali, da festeggiare come si deve. La sua risposta al collega del Corriere è di quelle “alla Ciccio”, dirette, autoironiche. “Ma quando mai? Ti sembro uno da cerimonie pompose? Sarà bello sentire l’affetto di chi mi vuole bene, ma il mondo va avanti e bisogna stare al passo.
Così come i gol segnati: belli, ma fanno parte del passato”. Cosa aggiungere? Tanti auguri a Francesco “Ciccio” Graziani da un altro ragazzo parecchio cresciuto che ha smesso di contare gli anni qualche lustro fa. Il futuro è nostro. Cento di questi giorni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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