Glenn Strömberg, il vichingo che amava Bergamo

Lo svedese arrivò in Serie A nel 1984, lo stesso anno di Maradona e Rummenigge. Rimase per otto stagioni, accettando anche la B

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Inspira aria gelida da quelle narici ampie. Allo stabilimento della Volvo di Bramaregarden, del resto, mica pompano il riscaldamento. Però ogni tanto gli scappa un sorriso, a Kent, quando ripensa a quello che sta combinando suo figlio. Mimmit invece fa l'insegnante in una scuola materna locale: pure lei, quando trilla la campanella della ricreazione, pensa che in fondo quello che sta facendo il suo Glenny è straordinario.

Beninteso, non che se la passino male, gli Strömberg. Ma nei sobborghi di Goteborg soltanto di rado si intravedono baluginii del genere. Luci che incidono il cielo perennemente d'acciaio che grava su esistenze regolari. Quella del loro ragazzo però no. Pare una storia differente.

Un po' c'entra anche il fisico, certo. Alto, spalle larghe, quando corre in campo copre la palla e non lo sposti. Poi però ci pensano le doti tecniche a dissipare ogni residuo dubbio. Si piazza lì nel mezzo - Glenn Peter Strömberg - e sembra che ce ne siano tre. Ha ancora la faccia tappezzata di eruzioni cutanee, ma è già un formidabile centrocampista. Una diga e un orchestrale. Con il vizio ribaldo di puntare spesso allo specchio.

Gli osservatori locali certo non poltriscono. Infilano un dossier dietro l'altro e poi lo corteggiano. Lo ingaggia l'IFK Goteborg, con il quale è destinato a scrivere una storia radiosa: campionato e coppa Uefa sono il precipitato più scintillante di quella sua leadership silente. Basta il suo aspetto, in fondo, a propagare un senso di venerazione mista a timore. Folti capelli biondi che cadono sulle spalle. Pupille di un azzurrino granulare. Ormai oltre 1 metro e 90 d'altezza. Un vichingo nel senso più profondo del termine.

Quando il feeling col Goteborg comincia a diventare stazzonato, ecco il Benfica. Lo pretende il suo grande estimatore Sven Goran Eriksonn, per rimpolpare un centrocampo altrimenti volatile. Durerà soltanto un anno. All'orizzonte pulsano già le seducenti sirene della Serie A, la Mecca calcistica del 1984. Glenn cede alle lusinghe dell'Atalanta: ancora non sa che quella diventerà una formidabile storia d'amore. Intorno il livello è altissimo. In quell'estate arrivano anche Maradona e Rummenigge.

La Dea di Nedo Sonetti è una squadra ambiziosa, ma deve comunque sgomitare nelle retrovie. Si salva, sospinta dalla vorace attitudine del suo statuario inquilino del centrocampo, fino a quando è possibile. Quando invece deve cedere il passo allo sgomento, scivolando in B, tutti quanti bersagliano la squadra. E Strömberg non resta indenne dalle critiche affilate dei supporters orobici. Allora fa una cosa. Anche se potrebbe fuggire altrove mette da parte l'orgoglio del campione consumato e scende umilmente in Serie B. Potrebbe essere la peggiore stagione della sua vita. Diventerà la migliore di sempre.

I nerazzurri - merito di un fato schizofrenico - giocano la Coppa delle Coppe. In estate hanno perso in finale contro il Napoli, che poi ha vinto lo scudetto. Dunque se ne stanno in B, ma pure in Europa. Quell'ambiente deturpato si ricompone spingendo sulla volontà di reazione. Glenn in mezzo è una montagna. Un disgregatore automatico di intenzioni offensive. Troppo abbondante quella cifra tecnica parcheggiata in cadetteria. Da navigato croupier detta le regole del gioco. E la Dea di Emiliano Mondonico risale lesta verso la Serie A.

Nel frattempo è abbagliante anche il percorso in coppa. Strömberg e compagni lo protraggono fino alla semifinale con i futuri campioni belgi del Malines. "Non ho mai visto così tanta gente felice a Bergamo malgrado la sconfitta", sussurrerà Glenn in seguito. La stessa pazza folla che contemplerà grattandosi quella ricca barba bionda il giorno della promozione.

All'Atalanta resterà in tutto per otto stagioni, sempre contribuendo a salvarla. Diventandone protettore nordico e bandiera inscalfibile.

Certificando un amore sgorgante, di quelli senza riserve. Ci avessero scommesso su, Kent e Mimmit non ci avrebbero mai preso. Un vichingo innamorato di Bergamo. Alla Volvo, come a scuola, non c'avrebbe creduto nessuno.

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