Quando Liedholm disse: "Falcao deve toccare 500 palloni a partita"

Il fuoriclasse brasiliano arrivò alla Roma nell'estate del 1980: quello show imbarazzato con Dino Viola alla presentazione e il feeling con il tecnico svedese

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L'ha segnalato un giornalista del Corriere dello Sport, Ezio De Cesari. Come se oggi un collega della Gazzetta chiamasse i dirigenti di un qualche club di Serie A per dirgli: "Vai in Brasile a prendere quello, è un fenomeno". Surreale, ma bello. All'inizio i tifosi della Roma hanno storto un po' il naso. Chi è questo tizio che arriva dall'Internacional di Porto Alegre? Noi aspettavamo Zico. Problemi che si aggiungono ad altri problemi: i brasiliani pretendono il pagamento di un milione e mezzo di dollari in termini perentori. E il presidente Dino Viola appare un po' in difficoltà a scucirli tutti insieme, a causa delle molte spese previste in quell'estate del 1980. Allora telefona all'amico Vasco Farolfi, presidente del Montevarchi. Lui si impegna ad anticipare la cifra, ma in cambio vuole che la prima amichevole stagionale la Roma la giochi contro la sua squadra. Affare fatto. Paulo Roberto Falcao è giallorosso.

All'aeroporto di Fiumicino lo scetticismo sembra essersi dissolto: lo attende una folla di 5mila persone. Lui saluta e ringrazia, ma non sa ancora cosa lo attende allo stadio. Viola non si accontenta di quella mano che sventola, né di una sciarpa attorno al collo. "Facci qualche numero dei tuoi, dai, per i fotografi e le tv". Falcao è perplesso, quasi seccato. Si presta ugualmente a quello spettacolo circense, quasi fosse la belva più attesa sotto al tendone. Seppure in buona fede, stavolta il grande Dino ha toppato. "Presidente - gli sussurra l'asso verdeoro davanti ai flash imbizzarriti - stavolta l'ho accontentata, ma non mi chieda mai più una cosa del genere, io sono qui per vincere".

FALCAO ANTOGNONI
Falcao contro Antognoni in un Roma - Fiorentina del 1981

Al suo arrivo al campo d'allenamento, racconterà in seguito Falcao, un compagno (non meglio precisato) sorride ed esclama: "Finalmente abbiamo lo straniero a cui dare le colpe se le cose vanno male". Lui però non si scompone e, con la flemma dei grandi, risponde: "Ora capisco perché la Roma non vince nulla da 40 anni". Poi gli si avvicina un uomo dall'aspetto imperioso e le pupille brillanti. Il boss, Nils Liedholm. "Che numero di maglia vorresti, ragazzo?". "Mi piacerebbe il cinque", confessa Paulo. Da lì in poi si apre un rapporto senza filtri, quasi fossero padre e figlio. "Mister, per le battute che fa sembra un brasiliano". "No, sei te che per la tua pacatezza sembri uno svedese".

Poi arriva la prima di campionato. Quattordici settembre, trasferta a Como. La Roma passa in vantaggio al 24' a causa di un autogol di Volpi, ma il Barone non è soddisfatto. La squadra non gira come vorrebbe e c'è un motivo preciso. Si rivolge ai suoi, seduti nello spogliatoio, chiedendo a Falcão di alzarsi in piedi. "Secondo voi quanti palloni avrà toccato finora questo ragazzo qua?". Silenzio tombale. "Ve lo dico io, appena cinque, forse. Non va bene. Non va affatto bene: deve toccarne almeno cinquecento a partita". Una benedizione e un'investitura. Liedholm si fida a tal punto delle qualità tecniche e del carisma del suo pupillo che, in una puntata di "Sfide" di molti anni dopo rivela: "Gli dicevo di tenere il pallone quanto voleva.

L'unico avvertimento era di darlo via al momento giusto. Lui sapeva quando sarebbe stato".

Da qui si annoda la storia luminosa dell'ottavo re di una città che, a distanza di molti anni, deve ancora ringraziare l'intuizione feconda di un giornalista.

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