Altro che lavori di bonifica: gli interventi realizzati sul terreno di via Calchi Taeggi, prima che il sequestro della Procura bloccasse il cantiere, hanno peggiorato ulteriormente la situazione ambientale, bucando la montagna di rifiuti tossici e spingendo ancora più in profondità l’inquinamento della falda acquifera. Lo sostiene il giudice preliminare Cristina Di Censo nel provvedimento - notificato ieri agli indagati e ai proprietari dell’area - che convalida il sequestro d’urgenza «per motivi di salute pubblica» disposto mercoledì scorso dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dal pm Paola Pirotta.
Il decreto del giudice non prende nemmeno in considerazione l’ipotesi secondo cui i pali piantati nel terreno tra agosto e settembre erano destinati a sostenere la messa in sicurezza dell’area. Per il giudice - che fa proprie in toto le tesi della Procura - quei lavori erano l’inizio della costruzione degli alloggi: «Sono in corso le fondamenta dei primi edifici senza che sia stata certificata alcuna esecuzione di bonifica». E l’inizio dei lavori stava anzi minacciando di aggravare pesantemente il disastro, «essendo evidente l’idoneità della movimentazione perforazione mediante apposizione di pali a provocare un aumento del percolato degli inquinati già presenti verso le falde più profonde e la produzione di nuovi gas verso l’alto».
Lì sotto, ricorda la Di Censo, ci sono quasi due milioni di metri cubi di rifiuti tossici e cancerogeni: «idrocarburi, pesticidi, diossine, solventi clorurati, fenoli, arsenico, ammoniaca» che contaminano l’aria e il terreno, e inquinando in profondità la falda. Già venerdì scorso, nella richiesta di sequestro riportata l’indomani dal Giornale, il pm Pirotta aveva ricostruito nei dettagli l’iter burocratico-amministrativo della pratica, fino al via libera del Comune: un via libera, sostiene il giudice, che ha consentito alla fine di «costruire sopra una discarica». Su un punto, però, il giudice sembra più cauto della Procura: mentre i pm contestano ai titolari delle aree (il gruppo Acqua Marcia-Caltagirone e il gruppo De Albertis) il reato di avvelenamento volontario delle acque, secondo la Di Censo «allo stato preliminare delle indagini» sembra «più aderente al dato storico» l'ipotesi di «delitto colposo contro la salute pubblica». Insomma, non un crimine deliberato, ma una lunga serie di omissioni. Ma pur sempre un delitto.
Il giudice afferma anche che a sostegno della tesi d’accusa ci sono anche le dichiarazioni di un indagato, Ernesto Boccalatte, dirigente della De Albertis, da cui emergerebbe la «fondatezza della ricostruzione» dell’accusa. Ma il difensore del manager, Giuseppe Bana, non è d’accordo: «Boccalatte si è limitato a ricostruire un iter della cui regolarità formale e sostanziale siamo assolutamente certi».
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