Ce la faremo solo con il gioco di squadra

Ce la faremo
solo con il gioco
di squadra

Dico sempre «Io sono di Chicago». Non esattamente. Sono di Evanston, ai tempi ricco sobborgo appena a nord di Chicago sul lago Michigan. Sono nato a quattro strade da Howard street, confine fra Evanston e Chicago. Ma non sono proprio di Chicago. Barack Obama, invece, può dire che lui è proprio di Chicago, lato sud, il più duro di tutti, una giungla, un inferno, un incubo. Ma come capita nelle più belle favole lui è invece uscito da quell'inferno diventando presidente degli Stati Uniti.

Certo, sembra facile per me, ragazzo che viene dal sobborgo con le scuole più buone, gli alberi più alti, bellissimi, e il prato più verde dell'Illinois, raccontare come lo sport mi ha dato un indirizzo giusto nella vita: laurea a Northwestern, laurea a Michigan, esperienza a Michigan State e all'accademia navale, la famosa U.S. Naval Academy. Sport sì. Ma anche vantaggi. Sfido, invece, chiunque a riuscire nella vita partendo dal lato sud di Chicago. Un'insalata mista di bande, droga, povertà, violenza ed ogni tipo di male sociale possibile. Invece Barack Obama è riuscito a farlo. Come mai? Une bella parte del merito va allo sport in generale, il basket in particolare, uno sport che lui ama e che gioca ancora, perfino martedì, dopo aver votato. No, non è stato l'unico ad uscire da quel ghetto per diventare qualcuno.

C'è stato anche Maurice Cheeks, oggi allenatore dei Filadelfia 76ers, uno che viene dalla Du Sable High school, non tanto lontano dalla casa di Barack Obama, proprio in mezzo al leggendario, in senso negativo si capisce, South Side of Chicago, come dice la canzone Bad Bad Le Roy Brown del grande Jim Croce. Ho imparato, attraverso amare esperienze, a non alzare troppo le mie speranze sul nuovo presidente degli Stati Uniti. Dopo l'elezione di Clinton, nel 1992, ho firmato un articolo in cui dicevo che avevo speranza perché la città di Bill Clinton era proprio Hope, nell'Arkansas. Cioè speranza. Poi, dopo troppe delusioni, ho perso quella speranza a dir poco. Ma Bill Clinton non veniva dallo sport come il mancino Obama. Dovevo notarlo io prima tutti questo particolare. È assolutamente vero quello che si dice pensando che lo sport sia la vera palestra della vita. Bill Clinton non ha mai imparato la lezione che lo sport, soprattutto quello di squadra, offre ai ragazzi, alla gente: squadra, sacrificio, altruismo, leadership, lealtà, professionalità, dialogo, psicologia e via dicendo. Barack Obama, invece, ha un bel passato sportivo, capisce di cosa stiamo parlando, ha queste qualità. Sono certo che il tutto gli ha permesso di vincere non una, ma due grandi battaglie: contro Hillary Clinton e contro John McCain.

Lo ha fatto perché secondo me lui aveva una mentalità vincente, il suo avversario no. Questo è il mio personalissimo parere, ma firmo e quindi lo sostengo. Ora, però, un altro campionato aspetta il presidente Barack Obama. Gli avversari sono durissimi: le guerre aperte, l'immagine degli Stati Uniti all'estero, il crac economico degli Stati Uniti e del mondo, la polarizzazione del paese, le scuole, la disoccupazione e ben altro. Lo aspettano avversari duri come Putin, un vincente pure lui. Insomma la Coppa del mondo. No, forse Barack Obama non ha una grande esperienza a questo livello, ma vedremo come se la caverà. Certo dovrà circondarsi da uomini e donne di prima categoria e non di seconda o terza categoria. Spero che la sua esperienza nello sport possa diventare la sua forza. Gioca ogni giorno uno contro uno con le sue guardie del corpo. Gli servirà questa mentalità e questa forza.

Giocherà la partita della vita. Lui, grazie allo sport, sembra pronto. È quello che mi sono detto tanti anni fa arrivando in Italia. Potevo farcela, dovevo combattere. Ho avuto avversari difficili, dei maestri, da Rubini a Nikolic, poi Bianchini, ma avevo dietro una squadra e ho scoperto, fra Bologna e Milano, che potevo farcela perché avevo dietro una grande squadra, Porelli a Bologna, Cappellari e la famiglia Gabetti a Milano.

Ho visto fiorire questo Paese, l'ho visto soffrire, ma se la gente riuscirà a fare gioco di squadra uscirà anche da questa trappola. Lo sport insegna a stare insieme, a sopportare i difetti degli altri. Quando ho dei dubbi penso a quelli che hanno combattuto insieme a me e vado a dormire sereno.
Dan Peterson

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