«Cellule» integraliste islamiche ma anche il rischio di nazionalisti sempre pronti a esplodere

Dimostrare di esser ancora vivi nonostante la morte di Bin Laden - colpendo una nazione assai più permeabile d’Inghilterra e Stati Uniti. Punire un paese che sin dal 2001 è presente in Afghanistan. Mettere a segno la vendetta promessa nel 2006 quando un quotidiano norvegese ripubblicò le famigerate vignette sul profeta Maometto. Rispondere alla decisione di un procuratore norvegese deciso a mettere sotto accusa un leader islamico che minacciava di far strage di politici se Oslo lo avesse deportato in Irak. Sono le quattro buone ragioni che hanno spinto inizialmente a ipotizzare l’esistenza di una regia al qaidista dietro il doppio attentato di ieri. Anche se in serata prende quota la pista di politica interna, stando alle agenzie di stampa norvegesi che citano non meglio precisate fonti della polizia di Oslo. Ma il pensiero è andato subito all’estremismo islamico: «Per quanto solo un ristretto gruppo di persone lo appoggi, vi sono attività all’interno di varie organizzazioni che fanno pensare all’intensificazione del rischio sicurezza nel 2011», avvertiva un rapporto dell’intelligence norvegese. Quel rapporto puntava il dito sui cittadini d’origine islamica con passaporto norvegese in tasca transitati per i campi d’addestramento del terrorismo islamico in Somalia. Yemen, Pakistan e Afghanistan. A rendere più preoccupante quel rapporto contribuiva la composizione di una comunità islamica formata in gran parte da pakistani, somali e iracheni, ovvero da musulmani provenienti da nazioni largamente problematiche. Al fattore composizione s’aggiunge il fattore percentuale. I 150mila cittadini di fede musulmana della Norvegia rappresentano una comunità solo apparentemente esigua. Per capirlo bisogna far i conti con la demografia di una nazione molto più vasta dell’Italia (385mila chilometri quadrati contro 301mila), ma abitata da non più di 4 milioni e 797mila cittadini. E a tutto ciò vanno aggiunti i numeri degli immigrati irregolari che secondo alcune stime portano la comunità islamica a livelli ben superiori al 4 per cento della popolazione. Se a questi dati s’aggiunge un sistema di controlli alla frontiera non molto rigido ecco creato l’humus perfetto per la preparazione di un attentato. Così ieri la decisione tardiva: la polizia è corsa ai ripari e ha deciso di «rafforzare i controlli alle frontiere» sospendendo temporaneamente gli accordi di Schengen di cui il Paese fa parte anche se non membro dell’Unione europea.
Nel caso della Norvegia l’agevole porta d’accesso era poi corredata da invitanti motivazioni ideologiche. Il governo di Oslo mantiene sin dal 2001 un contingente di 500 militari impegnato nella ricostruzione dei territori settentrionali dell’Afghanistan a fianco dei soldati tedeschi. Questa partecipazione è gia costata alla Norvegia le minacce dell’ex numero due e attuale leader di Al Qaida Ayamn Al Zawahiri che in un comunicato del 2007 minacciava di colpire Oslo per la sua partecipazione alle operazioni della Nato in Afghanistan. Il fattore vignette è un altra motivazione dall’alto contenuto simbolico. Agli inizi del 2006 un piccolo quotidiano norvegese sfidò le ire degli integralisti ripubblicando i disegni già apparsi sui giornali danesi. Il gesto porto all’incendio della rappresentanza diplomatica di Oslo in Siria e all’attacco degli uffici della compagnia norvegese Telenor in Pakistan. Esaminando gli eventuali mandanti o basisti dell’attentato di ieri non si può infine trascurare il Mullah Krekar. Il mullah è il fondatore e l’ideologo di Ansar Islam, un gruppo integralista curdo formatosi nei campi afghani di Al Qaida durante il regime talebano e poi transitato nel Kurdistan iracheno dove venne sgominato all’inizio della guerra a Saddam Hussein.

Nonostante l’intrinseca minaccia rappresentata dal personaggio le autorità norvegesi non hanno mai autorizzato la sua deportazione nel timore che le autorità irachene lo potesse torturare o condannare.
Ma certo le notizia giunte in tarda serata, potrebbero cambiare radicalmente le ipotesi della prima ora. E spostare l’attenzione sul terrorismo interno.

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