Centrale, ancora coltellate. Blitz e pattuglioni non bastano

Un nordafricano finisce in ospedale dopo una rissa. Colpito con un oggetto appuntito da un connazionale

Centrale, ancora coltellate. Blitz e pattuglioni non bastano

La notizia quasi si confonde tra le righe dei lanci di agenzia. Un'altra aggressione, l'ennesima, in stazione Centrale, il principale scalo ferroviario del nord Italia. Stavolta si tratta di un nordafricano 30enne, trasportato a Niguarda in codice giallo (le sue condizioni fortunatamente non sono preoccupanti) dopo essere stato aggredito e rapinato del portafoglio e del cellulare. Ad assalirlo, intorno alle 6 di ieri, è stato un connazionale che - proprio a due passi dalla stazione, in via Lepetit - gli si è lanciato contro con un oggetto appuntito con il quale lo ha colpito all'addome riuscendo a metterlo ko per poi approfittare di lui. Sul posto, oltre all'ambulanza, è intervenuto un equipaggio della polizia.

In stazione Centrale l'operazione di «presenza e controllo preventivo» sul territorio da parte delle forze dell'ordine - fortemente voluta dal governo di Giorgia Meloni ma anche da quelli precedenti negli anni difficili dell'immigrazione incontrollata e spesso violenta - va avanti dal 16 gennaio. Per la premier (lo ha assicurato lei stessa con grande chiarezza a inizio febbraio, durante la conferenza stampa tenuta in prefettura insieme al ministro dell'Interno Matteo Piantedosi) non si tratta di operazioni spot, bensì di «un modo molto concreto per tornare a far vivere un luogo centrale come la stazione per le persone che usano i servizi e per i turisti (...) il segnale di una presenza continuativa dello Stato». Il sindaco Beppe Sala aveva concordato con Meloni su tutta la linea, preannunciando l'allungamento dei servizi coordinati fino a maggio: «Novità positiva, bisogna andare avanti».

Nonostante le operazioni di restyling che, tra l'altro, hanno portato in stazione bellissimi negozi e ristoranti molto frequentati, la Centrale resta un luogo che non convince e passare in zona dopo una certa ora, tra bivacchi e brutte facce, è un'alternativa da prendere in considerazione solo in extremis. L'ormai arcinota «percezione» d'insicurezza in questo caso specifico non c'entra nulla: sono i fatti, la cronaca, come quanto accaduto ieri in via Lepetit, a confermare quanto l'opzione sia da scartare. Cerchiamo quindi di andare al di là dei luoghi comuni, ma anche delle operazioni straordinarie di controllo interforze, come quella che il 7 febbraio aveva portato all'identificazione di 1.625 persone (di cui 607 stranieri): una di queste è stata arrestata e 20 denunciate, per proseguire quindi con l'espulsione di sei stranieri, il controllo di 132 veicoli e di 15 esercizi commerciali dove erano state accertate sei violazioni fiscali. Un successo? Sì, senz'altro. Ma solo lì per lì o, comunque, all'interno dell'operazione stessa. Inutile individuare inesistenti colpevoli o additare quella o questa politica di sicurezza, visto che finora, nel lungo periodo, non si sono evidenziati vincitori ma solo vinti (i milanesi e chiunque viva la città).

La realtà oggettiva è che, spenti lampeggianti e spariti i reparti antisommossa, la Centrale resta nel quotidiano un luogo da evitare il più possibile, un grosso punto nero sull'epidermide di una Milano sempre più proiettata in un futuro avveniristico; un biglietto da visita della città che siamo costretti a dover maneggiare con estrema, eccessiva cura, senza avere mai la certezza che non ci «faremo male».

Forse blitz e pattuglioni non rappresentano (più) una ricetta di sicurezza valida per lo scalo ferroviario? C'è qualcosa che andrebbe ripensato sotto questo profilo?

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