Con charme e carisma organizzò in Italia rassegne memorabili

«Palma Bucarelli era la tigressa di Valle Giulia, con gli occhi ora fiammanti, ora di ghiaccio»: così me la descrisse un giorno Salvatore Scarpitta. Per più di 30 anni alla guida della Galleria Nazionale d’Arte Moderna «la» Bucarelli (come «la» Callas o «la» Duse) è stata una grande e controversa figura che ha profondamente inciso sulle vicende dell’arte contemporanea in Italia. Mai direttore di museo ha suscitato tanto odio e amore. Un altro grande storico dell’arte (recentemente scomparso), Giovanni Carandente, mi riferiva quanto fosse considerata scandalosa: «Le case dove c’erano ragazze perbene non ricevevano la signorina Bucarelli!»; ma un altro testimone, il giornalista e scrittore Lamberti Sorrentino, mi aveva raccontato che quando il marito Paolo Monelli si era ammalato Palma lo aveva amorevolmente assistito con grande abnegazione.
Certo, il personaggio è affascinante, a partire da un dato incontrovertibile: la bellezza. I ritratti (il bel dipinto di Giulio Turcato, l’intensa tavoletta di Alberto Savinio, la cera di Mazzacurati) ne rendono conto: gli occhi cerulei, le labbra ben disegnate, la nitida struttura del viso. Questi ritratti ora sono presenti alla mostra che il «suo» museo le dedica insieme a opere da lei acquisite o lasciate in eredità alla Galleria. Ho conosciuto Palma Bucarelli e conservo due ricordi in particolare. Insieme a una collega la accompagnavo in Sicilia (sua terra d’origine) per una mostra. Giunte a destinazione parlavamo di cambiarci. La «dottoressa» (come molti la chiamavano), in impeccabile tailleur (quasi una divisa) ci rivolse uno sguardo glaciale: «Non ho portato nessun cambio, dunque ovviamente non si cambierà nessuno». Non restava che obbedire!
La Bucarelli amava molto la lirica: una volta fui ammessa nel suo palco per una prima all’Opera. Lei, in abito lungo nero, con la pelliccia di lince che le lasciava scoperte le spalle, avanzava con incedere regale al braccio di Achille Bonito Oliva. Aveva 70 anni. Io ne avevo 25, qualcuno pensava che fossi una bella ragazza, eppure non mi sono mai sentita così inadeguata. Charme, carisma e attitudine al comando: erano le armi di Palma Bucarelli, ma non le sole. Da quando nel ’33 aveva vinto, con i suoi compagni di strada Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi, il concorso ministeriale, la Bucarelli è stata una fedele servitrice dello Stato, studiosa preparata e lavoratrice indefessa. Anche quando nel ’36 venne trasferita suo malgrado a Napoli, si applicò con grande diligenza a catalogare sagrestie polverose. Durante la guerra l’intrepida giovanissima soprintendente salvò il patrimonio della Galleria trasferendolo prima al Palazzo Farnese di Caprarola e poi a Castel Sant’Angelo. Come diceva Marino Mazzacurati, «Palma e sangue freddo».
Alla fine della guerra il suo museo è il primo a riaprire: la sua direzione è dinamica, internazionale, aperta ai giovani. La grande svista critica nel sottovalutare de Chirico è in parte compensata dall’ammirazione (ricambiata) per il fratello Savinio, cui dedica un omaggio subito dopo la morte (1952). A questa seguono una serie di grandi mostre: Picasso (1953), Mondrian (1956), la prima mostra di Pollock in Europa (1957), Modigliani (1959). Palma suscita polemiche e interrogazioni parlamentari (per la «merda d’artista» di Manzoni, per il sacco di Burri...), ma soprattutto infuria la polemica sull’arte astratta, definita da Guttuso «una dittatura».

Palma viene attaccata da tutto l’apparato culturale del partito comunista, decisamente conservatore. Ma tiene duro. Come disse Montanelli, continuò a difendere «il patrimonio che le era stato affidato con la tenacia di un mastino».

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