"Che rivale: era davvero un innovatore. Faceva sbilanciare tutti ma con garbo"

Il conduttore rilegge la carriera straordinaria del suo collega "I giornalisti dovrebbero imparare da lui l'arte di fare domande"

"Che rivale: era davvero un innovatore. Faceva sbilanciare tutti ma con garbo"

«Io e Pippo? Ci stiamo cordialmente sulle scatole». Così, dopo una puntata del Costanzo Show passata agli annali per la ferocia con cui i due se n'erano dette di tutti i colori, Costanzo sintetizzava il paradosso che sempre unì-divise questi due grandi della patria tv. «Certo che ci stimiamo ribattè allora Pippo - purché a debita distanza». Oggi, evaporati gli antichi furori, l'amico-nemico di sempre rilegge il rapporto col celebre collega-rivale alla luce di un'ammirazione che non ha mai negato. Neppure nei momenti peggiori.

«È così: tra me e Maurizio c'era una grande stima reciproca. Ci furono anche attriti, quando lavorai a Mediaset: ma quelli, se la professione raggiunge certi livelli, sono inevitabili. Fanno parte del gioco».

Quale tra le qualità professionali di Costanzo individuerebbe come la principale?

«La curiosità. Maurizio aveva una voracità di sapere che è un dono prezioso. Il curioso diventa colto. S'informa e impara a informare. Dopodichè mise questa curiosità al servizio d'un programma fatto di nulla, come Bontà loro una finestra, un orologio a cucù, due poltrone- con cui però creò il primo talk show italiano».

Nel quale riusciva a far parlare di sé tutti quanti, anche i più restii: dai potenti agli sconosciuti.

«Perché Maurizio non aggrediva mai nessuno. Imparate, giornalisti d'oggi: lui ti sedeva accanto con quel suo sgabello e tu, non sapevi nemmeno come, gli raccontavi tutto. Maurizio era seducente. Anche cinico, se occorreva. E ironico. Ma di un'ironia fatta di disincanto. Un tratto molto romano, questo, con cui metteva a proprio agio gli sconosciuti e faceva scendere i grandi dal piedistallo».

Tutti facevano a gara per essere intervistati da Maurizio Costanzo.

«Certo: sedere al Costanzo Show era diventata una patente di notorietà. Indici d'ascolto che, in seconda o terza serata, nessuno prima di lui aveva nemmeno osato sperare. Ma attenzione: lui non si è mai fatto strumentalizzare. Ancora una qualità di Maurizio: l'intelligenza. Guardi le sue donne: ne ha avute tante, e tutte bellissime, pur non spiccando per avvenenza. Era il suo cervello, ad attrarle; era l'intelligenza, la sua vera arma di seduzione».

Anche lui come Baudo - talent scout televisivo. Ma di figure da scoprire o riscoprire.

«Ricordo l'immensa popolarità che donò alla sora Lella, la sorella di Aldo Fabrizi, o che restituì a Tina Lattanzi, la voce di Greta Garbo che tutti conoscevamo ma di cui nessuno identificava il volto. Ricordo il delizioso Nick Novecento; l'insolito Ricky Memphis, il problematico Valerio Mastandrea. Un'ennesima qualità di Maurizio: componeva i suoi talk show come veri mosaici. Non contavano solo i personaggi noti in primo piano; anche quelli in seconda fila contribuivano all'effetto d'assieme. Era un grande chef, Maurizio».

Almeno una cosa l'avete avuta in comune: l'insofferenza per l'invasione degli sconosciuti da reality show.

«Sì: Grande Fratello e affini li detestava. Come me.

Dovremmo istituire una patente di guida televisiva, diceva. Poi però, quando si rese conto che funzionavano, non esitò ad ospitarne i protagonisti. Riservandosi di trattarli alla sua maniera, peraltro: con quel salutare disincanto che puntalmente li ridimensionava».

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