"Ciarlatani" fa ridere il Festival dei due mondi

Che gli attori siano sostanzialmente dei bugiardi, tanto più applauditi quanto meglio mentono, è cosa risaputa. Per Pablo Remon gli attori sono addirittura Ciarlatani

"Ciarlatani" fa ridere il Festival dei due mondi
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Che gli attori siano sostanzialmente dei bugiardi, tanto più applauditi quanto meglio mentono, è cosa risaputa. Per Pablo Remon gli attori sono addirittura Ciarlatani; ovvero come nel titolo della commedia dell'autore madrileno, adattata da Davide Carnevali e ora in scena al Festival dei Due Mondi di Spoleto- degli imbroglioni ipocriti e chiacchieroni.

Fin dal titolo, insomma, lo spettatore di questo acuto, brillante spettacolo intuisce d'avere a che fare col racconto, impietoso e divertito assieme, di manie, storture, fasulle ambizioni e ideali frustrati dell'impostore per antonomasia. L'attore, appunto. Al centro della scena un celebrato regista di cinema, Eusebio Velasco (che quasi non si vede); attorno a lui un suo allievo di successo (Silvio Orlando) che ha sacrificato alla fama più nobili aspirazioni, e la figlia attrice del grande regista (Blu Yoshimi) incapace di corrispondere all'altezza del genitore. Le vicende degli ultimi due s'intrecciano l'una nell'altra, in un continuo montaggio alternato agilmente reso in scena dalla ritmica regia dello stesso Remòn - che compone una multiforme, comica polifonia di personaggini, ora feroci ora surreali, spesso irresistibili, di produttori cocainomani, sceneggiatori plagiari, attori underground incomprensibili per primi a sé stessi, attrici di chilometriche soap invecchiate dentro al proprio ruolo.

Ondeggiando continuamente tra teatro e cinema, con una manciata di Pirandello nei riferimenti metateatrali, e una spruzzatina di Fellini nel clima onirico dei richiami autobiografici, Ciarlatani fila per quasi due ore godibile e disimpegnato. Nel senso che denuncia senza troppo mordere, dissacra senza veramente corrodere. In compenso però diverte - e molto - nel rivelarci come il recitare possa essere fuga e, all'opposto, rifugio; colpa ma anche alibi; terapia perfino. E naturalmente deve molto del successo che raccoglie proprio alla prestazione dei suoi attori.

L'indole fra lo spaesato e l'intenerito di Silvio Orlando serve i numerosi personaggi cui dà vita (compreso un terribile ragazzino di sei anni, che ne sa di cinema più del più pedante dei critici), e si combina molto bene con

l'effervescente verve di Francesca Botti, il goffo rampantismo di Francesco Brandi, la fresca energia di Blu Yoshimi. Il pubblico ride, forse non afferra tutte le sfumature dell'ironico pamphlet; ma si diverte e applaude moltissimo.

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