Roma - «Basta con le punture di spillo, le precisazioni, i sofisticati tentativi per dire che è colpa di uno o di un altro». Fabrizio Cicchitto invita alla calma, senza distinzioni di rango. E prova a far riordinare le idee ad un Pdl che rischia di farsi male da solo. Così, rinchiuso nel suo ufficio di Montecitorio - quando le agenzie di stampa hanno appena battuto la notizia del doppio stop elettorale e i cellulari cominciano già a trillare nervosi - il capogruppo chiede al partito un cambio di passo: «Non è questo il momento di litigare, rimandiamo ogni discussione a dopo il voto».
Oggi la coesione, domani la riflessione?
«Assolutamente sì. E lo dico anche per rispondere alla battuta di Gianfranco Fini, a cui questo Pdl non piace. Adesso dobbiamo portare avanti una mobilitazione unitaria per contrastare l’attuale situazione, in cui si rischia che le elezioni vengano falsate, anche a causa di una campagna mediatica che sta cercando di capovolgere i fatti. È necessario che sia chiaro a tutti: siamo dinanzi a una vicenda gravissima, che mi auguro comunque possa essere risolta, in entrambi i casi, al prossimo grado di giudizio. D’altra parte, che validità avrebbero elezioni senza il Pdl in due regioni così importanti, come il Lazio e la Lombardia? Di tutto il resto, ci sarà tempo e modo per parlarne pacatamente».
Rimaniamo all’attualità. Non crede, comunque, che pure voi abbiate commesso errori da principianti?
«Guardi, so bene quello che è successo a Roma e se mi chiede quale sia stato il nostro errore, le rispondo così: bisognava magari mandare dieci persone alla consegna delle liste, fra cui tre parlamentari e tre avvocati. Ma ciò che conta è la ricostruzione incontrovertibile di quanto avvenuto realmente alla Corte d’appello. Altro che fantasiose ricostruzioni su cambi di nomi all’ultimo momento».
Davvero non è stato sbianchettato nulla?
«Ma figuriamoci... Chi lo afferma intende cambiare le carte in tavola. Le liste erano battute a macchina. In realtà, come descritto nella denuncia che abbiamo presentato, ai nostri due rappresentanti è stato impedito di presentare la documentazione. Prima sul piano fisico, con l’ostruzionismo da parte di esponenti di altri partiti, poi attraverso l’intervento delle forze delle ordine, su ordine del magistrato. Come si fa a credere il contrario?».
In che senso?
«Vi sembra possibile che tutti, all’improvviso, siano diventati idioti? E che dirigenti politici esperti, abituati a operare in quei contesti, sbaglino tutto? Ovviamente non è così. E spero ancora che esista un giudice a Berlino... ».
In caso contrario, tutti in piazza?
«Sono favorevole a percorrere per intero le strade indicate dalla legge, ma anche a costruire una grande partecipazione popolare, in difesa della democrazia e contro il prevalere dei prepotenti».
Ha parlato dell’ipotesi piazza a Silvio Berlusconi?
«Lui è il leader. Ho fatto e faccio quello che dice. Ma sono anche il capogruppo del Pdl alla Camera, ed è venuto il momento in cui ognuno si assuma le proprie responsabilità. Anche per questo faccio appello a tutti i quadri del partito, a qualsiasi livello, affinché mirino all’unità, mettendo da parte ogni tipo di risentimento, puntando sulla vera forza del centrodestra: il rapporto con la gente».
Il suo appello è rivolto pure agli ex azzurri che hanno replicato per le rime al presidente della Camera?
«Di norma, quando si apre un dibattito, ognuno può dire la sua ed esprimersi liberamente, anche dissentendo dal pensiero di Fini, le cui idee a volte non collimano neppure con le mie. Ma ora, ribadisco, non è tempo per affrontare le diversità: lo faremo ad urne chiuse».
A quel punto, ci sarà bisogno di una profonda riorganizzazione interna?
«Di certo ognuno esporrà la propria idea. Secondo me, accanto alla figura di un leader carismatico, che rimane l’unico punto di riferimento in grado di raccogliere un fortissimo consenso nel Paese, occorre avere un partito ben radicato nel territorio, con regole democratiche e in cui si possa discutere di tutto».
Sembra in parte pure il pensiero di Fini. Eppure non si fa altro che parlare di una scissione post-voto.
«Non credo proprio che ci siano gli elementi per una divisione verticale, con una spaccatura tra chi veniva da Forza Italia e chi da Alleanza nazionale. Su alcuni temi, come il testamento biologico, la cittadinanza o l’immigrazione, è pure inevitabile pensarla a volte in maniera diversa. Ma se non viene messa in discussione la leadership di Berlusconi, ci si può confrontare benissimo su qualsiasi tipologia di modello partito».
Anche
sulla nomina di un coordinatore unico?«Vedo difficile, complicato questo tipo di scenario. Immaginare una reductio ad unum, secondo me, sarebbe infatti una forzatura, anche se ci fosse un vice sotto di lui».
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