Pinocchio di Guillermo Del Toro, titolo attesissimo, approda al cinema da oggi e sarà disponibile su Netflix dal 9 Dicembre.
Se siete puristi della fiaba di Carlo Collodi, astenetevi dalla visione: quello del noto cineasta messicano (coadiuvato in cabina di regia da Mark Gustafson) non è un adattamento, bensì una storia originale ispirata a quanto nato dalla penna dello scrittore toscano. C’è poi altro che farà storcere il naso a molti, ovvero la deliberata volontà di trasformare il Pinocchio di partenza in un racconto dai contenuti fortemente politicizzati.
Provocatorio, stravagante e visivamente funereo, il film pesca a piene mani dall’immaginario macabro caratteristico di Del Toro e diventa un musical in stop motion che ha per ambientazione l’Italia ai tempi del fascismo.
La narrazione mantiene invariati solo alcuni personaggi principali e l’incipit è drammaticissimo. Facciamo infatti la conoscenza di un Geppetto piegato dal dolore dopo aver perso il figlioletto adorato, Carlo. Inconsolabile, è oramai votato all’autodistruzione quando una notte, da ubriaco e collerico più che mai nei confronti del destino, strappa dal terreno il tronco vicino alla tomba del piccolo e inizia a lavorarlo e intagliarlo in modo da dargli la parvenza di un bambino in versione burattino. All’alba, grazie all’intervento misericordioso dello Spirito del Bosco, il manufatto prende vita.
La forzatura politica
Conoscendo Del Toro è ovvio aspettarsi che l’assemblaggio di Pinocchio avvenga in una notte emotivamente tempestosa e secondo modalità che ricordano l’operato del Dottor Frankenstein, così come è il caso di archiviare l’idea di un’amorevole e materna figura come quella della Fata Turchina. Non ci sono poi il gatto e la volpe ad attendere il burattino, bensì Volpe, un diabolico direttore di circo (un Mangiafuoco rivisitato), e il suo scagnozzo Spazzatura, una scimmia albina, mentre Lucignolo è il figlio del Podestà del luogo. Con quest’ultimo l’avventura non sarà nel paese dei balocchi ma in un campo di addestramento fascista per ragazzi.
La personalissima visione del regista Premio Oscar è una rilettura audace, dark e dai toni adulti che ha la propria potenza visiva nella bizzarria destabilizzante tanto amata da Del Toro, mentre quella narrativa nel sapiente modo di far coincidere vulnerabilità emotiva e umanità.
Il protagonista di legno ha un’esuberanza ingenua e una vivacità difficili da domare. Si sente sospeso tra la voglia di accontentare il padre e quella di disobbedirgli, finendo col ribellarsi pur conservando un cuore buono. Pinocchio non conosce malafede, quando sbaglia è per un’atavica sete di conoscere il mondo e per un entusiasmo cristallino nei confronti dell’essere in vita. Sono queste caratteristiche a renderlo l’unico davvero capace di mettere in discussione il pensiero dominante, in mezzo a esseri umani rigidi nei comportamenti e nelle idee come fossero loro i veri burattini. Il regista sottintende come in quel determinato spaccato storico l’unico libero dai condizionamenti parrebbe essere proprio Pinocchio, che quindi diventa emblema di principi antifascisti. Una forzatura? Sì, poteva bastare il grillo parlante come depositario di valori imperituri e incarnazione di un buon senso che vola più alto delle logiche politiche. L’insetto in questione funge da narratore e alleggerisce l'atmosfera con piccoli intermezzi buffi.
Inutile dire che ci troviamo davanti alla versione più complessa mai vista di Pinocchio, in cui si parla del lutto dapprima come di un’apocalisse e poi con malinconica rassegnazione, si medita sul libero arbitrio, si indaga il sentimento della paternità e si condannano gli orrori della guerra.
Le musiche di Alexandre Desplat, l’animazione estremamente fluida, il budget importante e ben gestito rendono accattivante un viaggio che è prima di tutto coraggioso e cupamente satirico. La libertà creativa, il tocco autoriale e il perfezionismo tecnico caratterizzano un film che, pur non mancando di rispetto alla sua fonte originale, diventa un unicum tra le numerosissime opere derivate dalla fiaba di Collodi.
“Pinocchio di Guillermo Del Toro" sarà visto in massa grazie allo sbarco “prenatalizio” sulla piattaforma streaming citata in apertura, ciò non toglie che resti un prodotto dal target di pubblico incerto.
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