Clooney in Darfur: le paparazzate (vere) incastrano il ministro

Le immagini satellitari dell’organizzazione messa in piedi dalla star usate per incriminare i responsabili delle stragi

Clooney in Darfur: le paparazzate (vere) incastrano il ministro

Tutto inizia chiacchierando sotto le stelle. Una sera del 2010, durante il suo quarto viaggio in Su­dan, George Clooney riposa pan­cia all’aria davanti alla sua capan­na. Al suo fianco c’è John Prender­gast, l’attivista dei diritti umani con cui condivide la lotta contro i crimini di guerra in quel martoria­to Paese. «Ma se lassù a 400 chilo­metri di altezza ci mettessimo un fotografo con un bell’obbiettivo non sarebbe più difficile massacra­re ’sta povera gente?». John si vol­ta, lo guarda come si guarda un ubriaco. George sta solo rifletten­do a voce alta. Gli vengono in men­te tutte le volte in cui appena usci­to di casa deve pensare a come comportarsi per non finire su una copertina con le dita nel naso. «Se anche loro sapessero di essere con­­trollati, fotografati, non farebbero quel che fanno...dammi un satelli­te­e diventerò il paparazzo anti ge­nocidio ». Detta così sembra la soli­t­a favoletta del solito Pr di Hollywo­od.

Stavolta però è vera. A confer­marla ci pensa l’inchiesta aperta della Corte Criminale Internazio­nale dell’Aia contro Abdelrahim Mohamed Hussein, il ministro del­la Difesa del Sudan sospettato di essere il mandante di molti crimi­ni di guerra nel Darfur e in Sud Su­dan. Molte foto e analisi contenu­te in quell’inchiesta sono frutto del lavoro di «SatSentinel»,l’orga­nizzazione creata e sponsorizzata da George dopo quella chiacchie­rata sotto le stelle.

Per trovare l’obbiettivo con cui immortalare i crimini commessi dalle milizie di Khartum nel Sud Sudan e nel Darfur George Cloo­ney non deve sbattersi molto. Gli basta rivolgersi a GeoEye, Digital-Globe o Image Sat International, le società che da qualche anno af­fittano a privati e società una mez­za dozzina di satelliti in orbita a 478 chilometri di altezza. Ruotan­do­intorno alla terra ogni 90 minu­ti sono in grado di fornire immagi­ni su commissione di ogni angolo del globo. Le risoluzioni sono mol­to i­nferiori a quelle dei satelliti mili­tari, ma sufficienti a riconoscere una colonna di soldati o di carri in movimento. Il problema sono i co­sti. Il singolo scatto di un’area di 272 chilometri quadrati s’aggira sui 10mila dollari. Un vero e pro­prio reportage fotografico su una zona di 115 chilometri per 14 può costare 70mila dollari. Ma per Ge­orge, fondatore assieme a Brad Pitt e Matt Damon di un’organizza­zione umanitaria chiamata «Not on our Watch» , i fondi iniziali non sono un problema. E neanche ga­rantire un copertura continua del­le aree calde del conflitto.

I risultati non tardano ad arriva­re. Avviata a dicembre 2010, con la collaborazione di un’agenzia Onu per i satelliti e dell’università di Harvard la SatSentinel incomin­cia a tener sotto controllo la regio­ne petrolifera di Abyei. George Clo­oney e l’amico Prendergast temo­no che dopo l’indipendenza del Sud Sudan le milizie mosse da Khartoum vengano usate per met­tere in fuga le popolazioni di quel­le zone ricche di greggio per recu­perarne il controllo. La paure dei due «paparazzi dell’antigenoci­dio » si avverano. A fine maggio una serie di bombardamenti co­stringe gli abitanti della regione di Abyei ad abbandonare i villaggi. Le immagini dell’attacco, quelle che documentano i movimenti delle artiglierie e di migliaia di sol­dati intorno a Karmuk nello stato del Nilo Blu vengono registrate sul sito di SatSentinel. Oggi gli inqui­renti della Corte Internazionale le considerano fonte di prova assie­me a un rapporto di Enough Project – un’altra associazione a cui collaborano Clooney e Pren­dergast – sull’uccisione di 211 civi­li nel Sud Sudan e sulla mobilita­zione delle milizie da parte del nord. Quel rapporto punta il dito sul ministro della Difesa sudanese Abdelrahim Mohamed Hussein indicato come il responsabile del­le strategie impiegate nel Darfur, nel Blu Nilo e nel Kordofan del sud, le regioni dove si concentra­no i più recenti e sanguinosi attac­chi ai civili.

Ora spetta alla Corte Internazio­nale giudicare, ma a dar retta a Clo­oney esitazioni, dubbi o indecisio­ni non sono più ammissibili.

«È co­me se fossimo tornati al 1943, te­nessimo una macchina fotografi­ca sul campo di Auschwitz e vi di­cessimo: “Ok gente, una cosa sarà ammettere che non volevate fare niente,un’altra sostenere che non lo sapevate”».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica