"Mi hanno rovinato la vita ma non ho preso un euro, anzi ci ho rimesso. Per i pm fare politica è sinonimo di corruzione. E la sinistra è succube"

L'ex governatore della Liguria appena liberato dopo tre mesi di domiciliari: "Alla fine ho ceduto, non potevo tenere in ostaggio una Regione. Dalle toghe una visione antropologicamente negativa"

"Mi hanno rovinato la vita ma non ho preso un euro, anzi ci ho rimesso. Per i pm fare politica è sinonimo di corruzione. E la sinistra è succube"

Una villetta abbarbicata sulla collina di Montemarcello. Giovanni Toti sorride e per due ore ti chiedi se quella serenità sia disincanto o altro. «Ho la coscienza a posto. E andrò a processo per dimostrare la mia innocenza».

Il 7 maggio l'hanno arrestata.

«Ho pensato a un gigantesco equivoco».

Poi ha letto le carte?

«In macchina. Ero a Sanremo per inaugurare il resort di Briatore alla Baia Benjamin. Dunque, mentre mi portavano in caserma per le formalità di rito ho cominciato a scorrere le pagine e ho capito».

Che cosa?

«Che la logica della magistratura genovese era ed è molto più sofisticata».

E quale sarebbe questa logica?

«Semplice. Loro ti dicono: Ti sei dato da fare perché un atto legittimo fosse finalmente compiuto. E questo atto in qualche caso è stato accompagnato da un finanziamento, naturalmente tracciato. Non importa, per loro questa è corruzione».

E invece che cosa è?

«È la politica. È quello che deve fare un governatore. Niente di più e niente di meno. Aldo Spinelli chiede la proroga del terminal Rinfuse per cinquant'anni. Bene, dopo un anno e mezzo di stallo, mi chiama e mi dice che il dossier è incagliato».

Lei?

«Io chiamo a mia volta quelli dell'Autorità portuale e dico: Non tenetelo in mezzo al guado, o rispondere si o no, ma rispondete qualcosa. La pratica si sblocca, l'Autorità vota e concede la proroga, non per cinquant'anni, ma per trenta».

Il reato?

«Segue un finanziamento, non il primo e non l'ultimo, perché Spinelli ha cominciato a darmi soldi, tutti in chiaro e come moltissimi altri, nel 2015. Questa per la magistratura di Genova è corruzione».

Ripeto: lei non ha nulla da rimproverarsi?

«No, io non ho costretto qualcuno a compiere un atto illegittimo e nemmeno ho esercitato pressioni o chissà che altro. Non ho svenduto la mia funzione, non ho favorito qualcuno rispetto ad altri, non ho falsificato le carte, non ho preso valigette. Non ho preso regali per me o per i miei familiari, nulla di nulla. Io da presidente della Regione mi sono preoccupato perché un'impresa con centinaia di dipendenti potesse trovare il suo legittimo spazio. L'interesse del gruppo Spinelli era anche l'interesse della Regione Liguria e aggiungo, a scanso di equivoci, ho aiutato in questo modo tutti gli imprenditori che si rivolgevano a me. Per esempio ho ricevuto i fratelli Colaninno per un capannone che quasi si vede da casa mia. Solo che loro, legittimamente, non mi hanno dato un euro e quindi non ci sarebbe corruzione».

Morale, lei lo rifarebbe?

«Non capisco dove sarebbe l'illecito. Diciamo che la magistratura ligure ha una visione antropologicamente negativa dei miei comportamenti. Leggono in modo maligno quello che maligno non è. Ma la corda con cui mi hanno impiccato gliel'ha data la politica o meglio le leggi scritte dalla politica».

Perché?

«Perché sono leggi che permettono questa interpretazione negativa. La politica balbetta, la magistratura la bacchetta».

Lei avrebbe potuto resistere?

«Ho resistito quasi tre mesi. Loro hanno teorizzato con grande coerenza che la permanenza alla guida della regione sarebbe stata motivo di possibile reiterazione del crimine. Io alla fine ho ceduto: non potevo tenere in ostaggio una regione intera».

Qualcuno ha parlato di ricatto.

«Ripeto: è una visione antropologicamente negativa dei miei atti, espressa in forme esplicite».

Il centrodestra alla fine l'ha abbandonata?

«Ma no. Certo, c'è stata e c'è una timidezza complessiva nel rivendicare le ragioni della politica, manca il coraggio di scrivere leggi più chiare, nessuno vuole spiegare che le campagne elettorali costano. E che le finanzi in due modi: o con le tasse oppure regolarizzando i portatori di interessi. Il petroliere sponsorizzerà quello che non vuole le rinnovabili e viceversa».

Insomma, fra Genova e Roma i suoi amici si sono defilati?

«Salvini mi è stato vicino ed è stato affettuoso con la mia famiglia, Crosetto ha parlato chiaro, la Santanchè mi ha difeso. Nordio un ministro coraggioso. No, non mi hanno scaricato».

La sinistra ha manifestato in piazza chiedendo le sue dimissioni.

«Che tristezza. Mi sembrava di stare in un film western. Ti chiudono in gabbia e loro vogliono linciarti. Un atteggiamento giustizialista non degno della sinistra ligure».

Dicono che la sua gestione della Liguria in questi nove anni sia stata fallimentare. Cosa replica?

«Mi si spieghi dove ho fallito. Occupazione record, crescita record del reddito pro capite, investimenti colossali in una regione che prima era residuale. Il turismo rilanciato, mi sono dimesso il 26 luglio, giorno in cui abbiamo riaperto la Via dell'amore chiusa da dodici anni. Ne hanno parlato i grandi giornali inglesi e americani, ecco quello è stato il mio congedo. Se a Portofino arrivano i miliardari americani, io sono felice perché portano occupazione, servizi, ricchezza. Ma questi boiardi rossi forse vorrebbero tornare ad un futuro che assomiglia al trapassato remoto. Ad un turismo povero e senza attrattiva. Loro demonizzano gli hotel a cinque stelle, gli yacht e il vermentino, io no perché ho a cuore il benessere della mia gente. Loro inseguono un paradigma moralista, pauperista, giustizialista. E sono populisti: se c'è la siccità non cercano di combatterla, no, cercano il colpevole».

Tornerà come capolista alle elezioni di ottobre?

«No, ho già dato ma dirò la mia. Però mi sono dimesso perché non c'erano alternative e perché a questo punto voglio che la gente voti sul modello che ho costruito e che ha riproposto la Liguria nel mondo. Pensi alla nautica e pensi alle infrastrutture: il Terzo valico, la diga foranea e tutto il resto».

Chi sarà il candidato del centrodestra?

«Non lo so. È prematuro qualunque nome, io sono libero da qualche ora».

Toti si interrompe un attimo. Harold, un trovatello, corre a ricevere una carezza. «Mi ha fatto compagnia in queste lunghe settimane che ho trascorso leggendo e leggendo e leggendo. Ho divorato Ken Follett e altri romanzi, ho letto come uno scolaro modello le carte dell'inchiesta e ho trascorso più tempo con i miei genitori, mia sorella, mio nipote Edoardo che non ho visto crescere e che abitano qua, che nei dieci anni precedenti».

Dal vialetto sbuca la moglie Siria, in arrivo da Milano. Un bacio in fronte, oggi non è un giorno come tutti gli altri, mentre il telefono continua a squillare.

«Dicano quello che vogliono - riprende - io non ho preso un centesimo per me, di più non ho mai infranto la legge. E lo dimostrerò. Anzi, ci ho rimesso».

Ci sono quelle frasi scivolose nelle intercettazioni. Pentito?

«Ma quali? Mi hanno intercettato credo per tre anni, tre anni e mezzo. In tre anni forse anche a un santo può scappare una parolaccia, ma io sfido a trovare una mia frase compromettente. E fra l'altro, tutta questa storia è nata in modo surreale: presunti favoritismi ad alcuni siciliani di Riesi, che ho visto solo a una cena elettorale. Così, a un certo punto è scattata l'aggravante mafiosa. Ma quali favori? Questo per me è un mistero: non ho fatto assumere nessuno, non ho fatto favori a nessuno, qualche mio collaboratore, come sempre capita, avrà detto a qualcuno di questi signori di fargli avere i loro curricula. Uno di loro continuava a chiamare ed è stato bannato. Si, addirittura bannato: questa sarebbe la mia sudditanza alle presunte logiche criminali. Questi signori di Riesi mi avrebbero dato 380 voti su 380 mila e il più influente fra loro, Venanzio Maurici, un sindacalista della Cgil, interrogato, ha affermato sdegnato che mai e poi mai mi aveva votato e mai mi avrebbe dato la sua preferenza. Non so che aggiungere. Però da lì sono partiti per ascoltare tutte mie conversazioni».

Insisto, sarà Edoardo Rixi a raccogliere la sua eredità?

«Non credo, ha detto di no in tutti modi, anche se sarebbe il miglior candidato, e lo capisco: ha un impegno importante da portare a termine come viceministro delle Infrastrutture, non vuole lasciare. Nei prossimi dieci giorni faremo tutti insieme le nostre valutazioni. E sceglieremo il nome giusto, un politico o un civico, non importa».

L'ormai ex presidente si alza, misura il giardinetto tutto in salita che fa corona all'abitazione, torna sul terrazzino che guarda verso Bocca di Magra, sposta l'ombrellone che protegge a malapena da un sole feroce, si riaccende il sigaro.

«Vede, qui non si sta poi così male - afferma quasi con una punta di autoironia - c'è il tapis roulant e la piscina, gonfiabile, per carità, se no dicono che ho commesso un altro abuso».

Sorride di nuovo, quasi enigmatico.

«Mi hanno rovinato la vita, l'ho presa con filosofia. L'anno prossimo avrei comunque finito, certo c'era il tema del terzo mandato ma sarebbe stato molto difficile. Vedrò cosa mi riserverà il futuro, mi difenderò, forse tornerò al giornalismo, forse resterò in politica. Però, una cosa mi piacerebbe».

Quale?

«Vorrei che questa storia servisse a qualcosa. A svegliare la politica che lascia tutto questo potere alla magistratura, alla discrezionalità delle toghe. Le riforme che Nordio predica, a cominciare dalla separazione delle carriere, sono necessarie.

Tutti dovrebbero capire il mio messaggio: la destra e anche la sinistra, quelli di qua e quelli di là, anche quelli che sugli spalti, seminascosti, hanno applaudito la mia gogna. Non capiscono che un giorno i riflettori potrebbero accendersi proprio su di loro».

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