Dalle notizie che in questi giorni compaiono un po’ ovunque risulta piuttosto evidente che siano molti i partiti che hanno «fatto i furbi» nella raccolta delle firme per la presentazione delle liste elettorali. Verrebbe da dire che l’hanno fatto tutti, ma mettiamo un prudente «quasi» giusto per evitare ulteriori permalosità e polemiche. Così (quasi) tutti hanno accettato di buon grado la decisione di Napolitano pur badando a nascondere bene nei pantaloni la propria lunghissima coda di paglia. (Quasi) unanime è il coro di apprezzamento per l’autorevole «todos caballeros», per il «tutti colpevoli, nessun colpevole» che sembra voler salvare i diritti di tutti ma che in realtà penalizza tutti.
L’intera questione nasce da norme demenziali, micragnose e sostanzialmente liberticide che, dietro alla pia intenzione di garantire la più ampia volontà popolare (e la diffusa condivisione dei programmi rappresentati dalle liste), in realtà garantiscono (quasi) solo chi ha dei robusti apparati organizzativi o chi è disposto ad «arrangiarsi» con le gabole più degradanti.
La fine dei grandi partiti di massa, l’estinzione delle mitiche cellule comuniste e la fine del ruolo politico degli oratori e delle sacrestie fa sì che oggi sul territorio forse solo la Lega Nord sia teoricamente in grado di raccogliere regolarmente le firme e solo in alcune regioni. Resta il criticabile fatto che si voglia impedire alle formazioni minori di presentarsi e, attraverso di esse, a nuove idee di essere rappresentate. Il diritto di voto a ogni costo non va garantito solo agli elettori dei grandi partiti. È anche piuttosto umiliante vedere formazioni che hanno un notevole consenso elettorale costrette a trucchi da terza elementare, a «falsificare le firme dei genitori», o ricorrere a loschi venditori di sottoscrizioni comunque farlocche. È degradante inventare raccolte di firme su argomenti nobili o patetici solo per capitalizzare informazioni da ricopiare sulle schede per le elezioni. È degradante sapere che partiti e uomini politici cui si affida il governo del nostro futuro passino le loro serate a falsificare schede con il bavero alzato come «trusoni» di periferia.
I cittadini scoprono di non essere vessati solo dalla burocrazia ma anche da una «barocrazia», di subire le angherie di una casta di bari. Insigni uomini di Stato che dovrebbero risolvere i problemi della nazione vanno in giro con le carte nascoste nei polsini. Personaggi che fanno leggi per sequestrare l’automobile a chi paga un qualsiasi balzello con il ritardo di una settimana, per respingere una richiesta legittima solo perché manca un timbro, oggi fanno quello che gli pare, si perdonano, giustificano e condonano da soli. Da un giurista insigne dal granitico passato da rigorista ideologico come il presidente non ci saremmo aspettati un «chi ha dato, ha dato» peraltro consono al suo cognome e alla sua provenienza, ma avremmo voluto un «fermi tutti», un «arimortis». Visto che tutti fanno i furbi, avrebbe dovuto sospendere la partita in attesa di regole nuove, più civili e rispettabili, anche nel senso che possano essere rispettate.
Serve una traccia? Eccola: i partiti già rappresentati siano esentati da ulteriori adempimenti, i simboli che ci sono restano. Così si dà anche una calmata alla fregola dei continui cambi di sigle che stordiscono la gente. Chi vuole entrare in gioco, si presenta da un notaio con un numero ragionevole di sodali (cento sono anche troppi) che sottoscrivono un programma elettorale e un simbolo, mostrano di avere la fedina penale in ordine e provano di non avere debiti con l’Agenzia delle entrate. Pagano le spese notarili e gli eventuali costi aggiuntivi di stampa per l’ulteriore simbolo sulla scheda. Poche migliaia di euro bastano a scoraggiare la maggior parte di perdigiorno, stravaganti e cialtroni.
Tutto alla luce del sole, secondo regole chiare e precise, senza trucchi, sotterfugi o sceneggiate poco dignitose. Così si favorisce la democrazia, si permette il pluralismo, si dà spazio a nuove istanze e idee, si combatte l’astensionismo e si toglie spazio ai burocrati e - soprattutto - ai «barocrati».
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