Contro: Sempre la stessa classifica perché non cambia la giuria

Contro: Sempre la stessa classifica perché non cambia la giuria

E passi la nostalgia canaglia. E va bene anche che, massì, i pionieri si meriti­no qualche riconoscimento in più. Pe­rò sono quasi tre decenni che le cin­quecento migliori canzoni di tutti i tempi (quali tempi poi?) risultano sempre le stesse, una più una meno, roba che uno si chiede perché farle, queste benedette classifiche. In questa che Rolling Stone pubblica in pompa magna vincono sempre i soliti, dai Beatles (23 brani)a Elvis (11)e così via.Tanto per spie­garci, tra i primi cento posti ci sono soltanto tre brani pubblicati negli ultimi vent’anni: Smells liketeen spirit dei Nirvana al nono po­­sto, One degli U2 al 36esimo e Crazy di Gnarls Barkley al centesimo.Un po’ pochino.Un po’ ingiusto.D’altronde,è vero che per far capire l’effetto che fa, un brano ha bisogno di anni, talvolta tanti.E per capire l’effetto che fa,spes­so ci vuole gente con tanti anni alle spalle, di­fatti la giuria selezionata da Rolling Stone è un tripudio di curriculum e di pancere.

Allo­ra si rischia l’ empasse del «comunque Bob Dylan lo faceva meglio», quel feroce princi­pio di tanta critica musicale che porta a boc­ciare o declassare irragionevolmente tutti gli altri che sono venuti dopo solo perché sono venuti dopo. E poi ci sono i vibrioni superstiti della politica vecchio stampo che portano im­mancabilmente ad anteporre l’immancabi­le Blowin in the wind di Dylan, la canzone di protesta azzoppata dal suo stesso autore che disse «io non scrivo canzoni di protesta», a Stairway to heaven dei Led Zeppelin o Gim­me shelter dei Rolling Stones che, come strut­tura ed esecuzione, sono anni luce avanti. Ma questi sono dettagli tignosi. Il problema è: ma davvero le più belle canzoni di tutti i tempi sono solo di un altro tempo? Possibile che Billie Jean di Michael Jackson meriti solo il 58esimo posto, Paranoid android dei Ra­diohead il 257esimo e Kiss di Prince addirittu­ra il 464esimo? Insomma,più che una classifi­ca sembra l’album dei ricordi di una genera­zione ( o forse due o forse tre) che adesso com­prensibilmente hanno più voglia di guardar­si indietro che davanti, un po’ come accade ai raduni di auto d’epoca cui vecchi signori arrivano a bordo dell’ultima Audi superac­cessoriata perché mica si può rinunciare al computer di bordo, salvo poi dire che però l’Isotta Fraschini, beh, quella era molto me­glio. Per un appassionato di musica under 30, e pure per un musicista o per chiunque studi il costume e la società in cui viviamo, un brano come Rehab di Amy Winehouse (al 194esimo posto), con tutto il popò di riflessi sulla discografia degli anni Duemila, o Crazy in love di Beyoncé del 2003 (al 118esimo) sa­ranno più significativi, e quindi più belli e im­­portanti, di A change is gonna come di Sam Cooke, qui al 12esimo posto, registrata nel 1964 quando in Italia c’era Carosello e non la playstation. Insomma nella musica leggera tutto è relativo perché fugace, goduriosamen­te fugace, ed è vietato cristallizzarlo come pa­radigma irrinunciabile.

E perciò questa clas­sifica, che nel 2010 ai primi dieci posti mette nove canzoni incise prima del 1980, fa venire in mente quella famosa sentenza che Frank Sinatra riservò a Elvis: «È la più brutale, brut­ta, disperata, perversa forma di espressione che io abbia avuto la sfortuna di ascoltare». Dopo, Elvis ha cambiato il mondo e Sinatra no:e rifare un’altra volta lo stesso errore ci fa­rà solo diventare vecchi prima.

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