Così l’Occidente sta regalando la vittoria al regime di Assad

Così l’Occidente sta regalando la vittoria al regime di Assad

Forse era meglio stare a guardare. A un anno dallo scoppio della rivolta - e seimila morti dopo - l’Occidente, l’Onu e i nemici arabi di Bashar Assad farebbero meglio a fare il «mea culpa». Le medicine propinate al paziente siriano si stanno rivelando più perniciose del cancro della dittatura e rischiano di essere la vera causa di morte dell’insurrezione. Il più grave degli errori è stata l’incapacità di prevedere il veto di Russia e Cina che ha bloccato la mozione del Consiglio di Sicurezza destinata ad aprire le porte ad un intervento in stile libico. Il passo falso rischia di rivelarsi fatale per un’insurrezione costretta a far i conti con l’offensiva di un regime deciso ad approfittare della confusione dei propri nemici. E così mentre ad Aleppo, risparmiata fino ad ora dagli scontri, si registra il primo sanguinoso attentato con 28 morti e un centinaio di feriti, a Homs e Zabadani continua l’offensiva governativa.
Lo spietato assalto alle roccheforti ribelli è la diretta conseguenza della “debacle” del Palazzo di Vetro. Dando per scontata una legittimazione Onu e una maggiore libertà d’azione anche sul fronte delle operazioni clandestine, Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Turchia e Qatar hanno incoraggiato i gruppi armati ad intensificare le loro operazioni. Ma hanno sottovalutato le divisioni che affliggono gli insorti a livello politico e militare. Sulla falsariga di quanto avvenuto in Libia, Stati Uniti, Francia e Inghilterra hanno delegato a Qatar e Turchia il ruolo di armieri e finanziatori degli insorti. Da buoni musulmani, ad Ankara e Doha preferiscono privilegiare i gruppi islamisti vicini ai Fratelli Musulmani coordinati dal cosiddetto Consiglio Nazionale Siriano. Ma la Siria non è né l’Egitto, né la Libia. La Fratellanza Musulmana è tutt’altro che egemone. L’opposizione laica legata al Comitato di Coordinamento Nazionale ha un ruolo non marginale ed è contraria a qualsiasi intervento esterno. Il neonato Esercito Libero Siriano, braccio armato dei Consiglio Nazionale Siriano, non è in grado, inoltre, di contrapporsi militarmente all’esercito di Damasco.
Formato in gran parte da ufficiali disertori legati ai Fratelli Musulmani, l’Esercito Libero non dispone di armi pesanti, non ha una struttura di coordinamento nazionale e soffre di profonde lacerazioni al vertice. Il 6 febbraio scorso il generale Mustafa Ahmad El Sheik, il più alto in grado fra gli ufficiali fuoriusciti, ha cercato di assumerne il controllo innescando una guerra intestina con quel colonnello Riad al Assad che firma i proclami dell’Esercito Libero da un santuario in territorio turco. In ogni caso nessuno dei due controlla le forze sul campo guidate, come a Homs, da gruppi di coordinamento civili.
La Turchia e altri alleati della Nato hanno inoltre scommesso sulla defezione di un’importante unità corazzata pronta a sollevarsi dopo l’approvazione della mozione dell’Onu. La scommessa non teneva conto dei servizi segreti iraniani e russi prontissimi nel segnalare a Damasco il rischio di tradimento. Proprio le soffiate russe e iraniane hanno dato il via all’offensiva della Quarta brigata corazzata considerata, assieme alla Guardia Repubblicana, una delle unità più fedeli al regime.
A indebolire l’Occidente contribuisce anche la cauta circospezione israeliana. Preoccupati che la caduta di Bashar Assad porti al potere un regime islamista assai più imprevedibile di quello attuale gli israeliani, gli unici a poter contare su numerose talpe a Damasco, preferiscono per ora non interferire e non fornire informazioni agli alleati occidentali. L’errore più grave dei nemici di Damasco è però analizzare lo scontro in termini puramente demografici. Benchè famiglia Assad appartenga ad una minoranza alawita che non supera il 12 per cento della popolazione, il regime può ancora contare sul sostegno dei cristiani, di buona parte dei curdi e d’importanti clan sunniti legati da rapporti trentennali ai vertici militari ed economici del regime.


Questo spiega perché Damasco, Aleppo e i più importanti centri politico-economici del Paese si guardino bene dallo scendere in campo. Con buona pace degli oppositori assediati a Homs e Zabadani, che rischiano ora di pagare le conseguenze degli errori commessi dagli occidentali e dagli arabi.

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