Così Murdoch ha infangato una nazione

Nel lontano 1973 i Genesis spopolavano con Selling England by the pound. Per l’eventuale riedizione del quarantennale il titolo migliore sarà Selling England by the news. Non più «Svendendo l’Inghilterra un tanto al chilo», ma «un tanto a notizia». È quel che han fatto Rupert Murdoch e compagnia per 30 anni. Prima si son comprati la politica. Poi quel che le stava sopra e sotto. Divorando, infangando e distruggendo simboli ed istituzioni di una non proprio incorruttibile Albione.
Il crollo della mitica Scotland Yard - colpita domenica dalle dimissioni del suo capo sir Paul Stephenson e affondata ieri da quelle del numero due John Yates - è solo il più recenti dei grandi tonfi. Ma non l’ultimo. E non il più clamoroso visto che ora persino il premier David Cameron sembra sull’orlo del baratro. Incomincia tutto all’inizio dei favolosi anni 80. Allora persino l’inflessibile signora di ferro Margaret Thatcher accetta, tra una battaglia con i minatori e una guerra per le Falkland, di scendere a patti con il nascente impero di Mister Murdoch. Per dieci anni i giornali inglesi dell’australiano suonano l’incessante osanna alle politiche della campionessa dei conservatori. Salvo cambiar bruscamente spartito non appena all’orizzonte si profila l’astro nascente di Tony Blair. Una svolta brusca, ma non certo discreta. Già il 21 luglio del ’95 il New York Times titola «Murdoch e i laburisti, la nuova strana coppia britannica». Ma la discrezione a che serve? Il meccanismo è già oliato. Collaudato. Largamente accettato. Certo rileggere quel titolo all’indomani della scarcerazione su cauzione di Rebekah Brooks, ex rampante amministratore delegato di News of The World e delle dimissioni dei due più alti dirigenti di Scotland Yard non è come buttar giù acqua fresca.
Come mai, vien da chiedersi, l’intemerata stampa anglosassone e le altre stimate istituzioni britanniche ci metton 16 anni per scoprire una realtà sotto gli occhi di tutti? Una prima risposta è nascosta nel verbale di dimissioni di Sir Paul Stephenson. In quel documento il capo della polizia ammette di aver soggiornato per cinque settimane in una residence a cinque stelle e di aver lasciato l’incombenza di un conto da 13.500 euro a Neal Wallis, l’ex vice direttore di News of The World assunto dallo stesso Stephemson come responsabile delle pubbliche relazioni di Scotland Yard.
L’uomo di Murdoch trasformato in portavoce ufficiale dei leggendari «bobbies» è anche al centro delle dimissioni del numero due della polizia John Yates. Dunque se persino la polizia simbolo di Sua Maestà si faceva amabilmente viziare e guidare dai satrapi dell’australiano chi poteva mai dar retta all’evidenza dei fatti. Anche perché a voler capire c’era poco da star allegri. Se la polizia era collusa allora come giudicare David Cameron, l’uomo nuovo dei conservatori, il giovane premier sempre più minacciato dalle pericolosa relazione con Andy Coulson, l’addetto stampa raccattato, pure lui, nell’affollato cimitero di ex direttori del News of the World. Un’assunzione che sembra ora il corollario dall’ennesimo cambio di rotta del gruppo Murdoch prontissimo - dopo anni di fraterno appoggio alle truppe laburiste - al ritorno nel campo Tory. Il tutto mentre le testate di News International continuavano la loro cocciuta e insinuante opera di smantellamento dei simboli della Gran Bretagna. Prima una spiata al telefonino del principe Harry o del fratello William, poi un articolo con le frasi del campione David Beckham, infine qualche bel pettegolezzo rubato dalla cornetta del cantante baronetto Paul McCartney. E così ora gli strali dell’attuale leader laburista Ed Miliband, protagonista di un «j’accuse» a scoppio ritardato contro l’impero del male di News Corporation suonano, per chi non dimentica un tale chiamato Tony Blair, come un capolavoro di smemorata ipocrisia.


Trent’anni di cure del suddito australiano hanno insomma ridotto l’aristocratica Inghilterra ad un calzino bucato ed infangato. Speriamo solo che «Dio salvi la regina». E le sussurri di usare un po’ meno il cellulare.

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