Crisi in Israele: il governo appeso a un filo

Tra i due Ehud, Bibì se la gode. Doveva essere l’ultimo affondo, la coltellata alla schiena di un premier agonizzante, ma più le ore passano più l’assalto di Ehud Barak al primo ministro Ehud Olmert sembra trasformarsi in un servigio reso al capo dell’opposizione Bibì Netanyahu. Il fendente scatta poco dopo mezzogiorno. Il ministro della Difesa Barak annuncia in una conferenza stampa di esser pronto a trascinare il partito laburista fuori dalla coalizione di governo se Olmert, sotto inchiesta per una serie di bustarelle intascate prima della nomina a premier, non si farà da parte.
«Non ritengo che il premier possa governare e al tempo stesso dedicarsi ai suoi affari personali, penso che il primo ministro debba prendere le distanze dalla gestione quotidiana del governo – dichiara Barak - non saremo certo noi a imporgli il modo, deve solo decidere tra una delle vie d’uscita».
A quel fendente il navigato premier, sopravvissuto alla commissione d’indagine sulla guerra ad Hezbollah dell’estate 2006 e ad almeno quattro precedenti inchieste risponde con l’attenzione che si regala ad una fastidiosa zanzara. Non si dimette, non reagisce, non parla. Almeno per qualche ora. Poi a tarda sera, arriva la replica. «Resto al mio posto. C’è gente che pensa che, ogni volta che si apre un’indagine a carico di qualcuno, ciò debba per forza condurre alle dimissioni. Ma io non condivido tale opinione, perciò non mi dimetterò».
A questo punto, se Olmert non ascolterà il suo ultimatum, passando la poltrona al ministro degli Esteri Tzipi Livni o ad un altro reggente scelto all’interno di Kadima, Barak dovrà assumersi la responsabilità di far crollare il palazzo. Quel crollo trascinerà il Paese ad un voto anticipato che, secondo tutti gli attuali sondaggi, consegnerà il governo al Likud di Netanyahu. Così Barak si gioca la reputazione di leader affidabile e resuscita le critiche di quanti, al tempo del suo primo mandato da premier, ne criticavano l’eccesso di protagonismo ed impulsività.
La guerra dei due Ehud inizia martedì quando l’imprenditore ebreo americano Morris Talansky elenca ai magistrati di Gerusalemme le mazzette in contanti passate all’amico Olmert nell’arco di 15 anni. Con quei 150mila dollari in contanti, mai restituiti, Olmert ha pagato viaggi in prima classe, sigari di qualità, soggiorni nei migliori alberghi americani e persino una vacanza in Italia con moglie e figli quand’era ministro nel governo Sharon.
Tutto è finito prima che diventasse premier e nulla prova che quel denaro sia servito per comprare favori o protezioni ma quel fiume di dollari utilizzati per il proprio piacere personale suscita l’indignato stupore degli israeliani. I giornali liquidano come «disgustoso» l’atteggiamento di un premier capace di sfruttare la carica di sindaco di Gerusalemme prima e di ministro poi per soddisfare sfizi e capricci.

Così l’ambizioso Barak che da tempo ha deciso di dar la scalata all’esecutivo si fa sotto. Il soldato più decorato d’Israele rischia però di ritrovarsi sommerso dai complessi rovesci della politica. Anche perché si è scelto come nemico il più navigato reduce della vecchia casta politica israeliana.

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