Cristiani d’Irak

Sarà uno dei Natali più cupi della loro storia. Più nero di quando c’era Saddam. Più tetro di quello di cinque anni fa quando il terrore fondamentalista seminava paura e morte ad ogni angolo. Sarà una notte senza speranza e senza luminarie, una vigilia senza messe e senza comunione, una festa senza auguri e senza regali. Semplicemente non sarà Natale. Sarà un numero grigio sul calendario. Sarà un 25 circondato da lutti, minacce e apprensione. Sarà il buco nero di un Natale rubato, sfregiato, cancellato.
Alla fine i cristiani d’Irak han dovuto accettarlo, farsene una ragione, acconsentire a quella rinuncia per non mettere a repentaglio le proprie vite e le proprie chiese. Alternative non ce n’erano. Soprattutto dopo la strage dello scorso ottobre quando i kamikaze e le bombe di Al Qaida uccisero 68 fedeli e ne ferirono più di cento nell’assalto alla chiesa di Nostra Signora della Salvezza. Soprattutto dopo le nuove minacce apparse martedì sera su un sito internet del terrore fondamentalista. Soprattutto dopo aver constatato l’indifferenza di quanti dovrebbero proteggere le loro chiese e i loro quartieri.
E così ieri, a 48 ore dal Natale, i vescovi cristiani si ritrovano costretti ad annunciare la cancellazione di tutte le messe, ad ordinare la chiusura delle chiese, a raccomandare ai fedeli di rinunciare a luminarie e decorazioni. «Nessuno può permettersi d’ignorare la minaccia di Al Qaida nei confronti dei cristiani iracheni», spiega Monsignor Luis Sako, l’arcivescovo caldeo di Kirkuk. Lui per non rischiare cancella persino la tradizionale distribuzione di regali ai bambini affidata ogni anno ad un parrocchiano in costume da Babbo Natale. «Qui la situazione è sempre più cupa – ammonisce - qui non ci sono più né la gioia, né la voglia di festeggiare». Difficile dargli torto. La minaccia diffusa dai terroristi di Al Qaida è sempre la stessa. A sentir loro i cristiani iracheni sono gli alleati dell’Occidente, i complici dei crociati infedeli, i nemici da schiacciare ed uccidere. È una propaganda tanto facile quanto falsa, una menzogna insidiosa che calpesta i duemila anni di storia di una comunità religiosa fondata dall’apostolo Tommaso e abituata da secoli a convivere con Corano e mezzaluna. Ma in un Paese dove i cristiani sono il vaso di coccio tra i vasi di ferro, in una nazione dove il terrore e l’indifferenza servono anche ad espropriare case e terreni Al Qaida sfrutta l’odio anticristiano per recuperar consensi.
L’artifizio ideologico è lo stesso usato ad ottobre. A dar retta ai burattinai del terrore le bombe contro i cristiani sono una risposta alla detenzione di due mogli di preti copti tenute prigioniere in un monastero egiziano dopo essersi ribellate ai mariti e convertite all’islam. La storia non è stata né provata né dimostrata e soprattutto non ha nulla a che fare con i cristiani di Mosul o Bagdad. Ma ad Al Qaida poco importa. Come già ad ottobre l’organizzazione terrorista minaccia di attaccare chiese e quartieri cristiani se le due donne non verranno liberate. E così in questo tetro Natale i cristiani devono chiudersi in casa, spegnere le luci, augurarsi non d’essere felici, ma semplicemente di sopravvivere.


È il ritorno alle catacombe, il momento più crudele di una persecuzione che negli anni ha già spinto oltre 900 mila fedeli ad abbandonare il Paese. E così, in questo cupo Natale di paura e solitudine i 600 mila rimasti torneranno a far i conti con l’inquietudine di sempre, con le angosce di chi ritiene che ormai fuga ed esilio siano l’unica salvezza.

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