I colpi alle spalle, le dosi di veleno e le 37 coltellate: così è stata uccisa Giulia Tramontano

È il giorno dedicato ai medici legali nel processo sull'omicidio della 29enne uccisa incinta al settimo mese a Senago, nel milanese. Così Impagnatiello le ha tolto la vita

I colpi alle spalle, le dosi di veleno e le 37 coltellate: così è stata uccisa Giulia Tramontano

Pochi minuti di rabbia cieca. Colpita con ogni probabilità alle spalle con colpi ravvicinati: alcuni superficiali, altri in grado di ledere i tessuti nel profondo, provocando un'emorragia che le è stata fatale. È stato il turno dei medici legali, nel processo davanti alla corte d'Assise di Milano sull'omicidio di Giulia Tramontano, la 29enne uccisa mentre aspettava il suo bambino Thiago, di cui era incinta al settimo mese. Sono ore lunghissime, di descrizione dettagliata di ciò che è accaduto al corpo della ragazza e anche al piccolo che portava in grembo. Per potere "formare le prove" davanti alla corte, presieduta da Antonella Bertoja, a latere Sofia Fioretta, sono state mostrate in aula le immagini della povera donna, ritrovata alcuni giorni dopo il suo delitto in un anfratto a poche centinaia di metri dalla sua abitazione di Senago, nell'hinterland di Milano.

L'omicidio è avvenuto la sera del 27 maggio dell'anno scorso, in un orario presumibilmente compreso tra le 19 e le 20 di sera. Giulia era da poco tornata a casa, furiosa, per parlare con il suo compagno, Alessandro Impagnatiello, dopo avere scoperto che lui aveva una relazione parallela con un'altra donna, sua collega di lavoro all'Armani cafè di Milano. "Fatti trovare", aveva scritto la vittima al compagno via sms. Ma ad attenderla (era stata accompagnata dalla suocera e dal compagno di lei, dalla metropolitana fino a casa), c'era il barista che - secondo gli inquirenti - aveva già premeditato di ucciderla. E infatti per farlo, come è emerso dalle indagini, le avrebbe somministrato del bromadiolone, un veleno per topi, con un "picco" nel mese precedente al delitto.

Durante l'azione, Giulia non si sarebbe difesa in alcun modo. Forse è stata colpita alle spalle. Il medico legale incaricato di effettuare l'autopsia, Andrea Gentilomo, lo ha detto chiaramente. "Non è emerso alcun taglio di tipo autolesivo. Non si è difesa”. Il medico ha spiegato che la morte è da ricondurre a un “processo emorragico derivante da lesioni vascolari, in particolare arterie e la vena succlavia”. Dalle valutazioni del medico ci sarebbero due coltelli compatibili (che infatti sono stati sequestrati) con le ferite procurate da Alessandro Impagnatiello.Giulia Tramontano, è emerso inoltre dall’autopsia, è stata uccisa con almeno 37 coltellate tutte localizzate sul retro del corpo: 24 sul distretto cervicale, le altre sul torace superiore e dorsale. “Solo alcuni di questi fendenti sono penetrati in profondità”, ha spiegato ancora Gentilomo.

Eppure da quello che è emerso Gentilomo ritiene che sia stata “uccisa da dietro. Parliamo di due soggetti che si fronteggiano, l’azione è estremamente dinamica, sia per i movimenti della vittima che per quelli del killer. Ma le zone interessate dalle lesioni si sarebbero potute raggiungere, tutte, più facilmente da dietro”. Inoltre “sulla parte anteriore del corpo non ci sono segni” e anche le due lesioni sul viso, vicino alle orecchie, e quella sul sopracciglio, sarebbero "compatibili" con un’azione che si è svolta principalmente da dietro. Ha anche spiegato che il colpo inferto alla laringe - forse all'inizio dell'azione omicidiaria - avrebbe potuto impedire a Giulia di "urlare".

Uno degli interrogativi dell'inchiesta è se il bambino di Giulia fosse morto prima della madre (forse per il veleno), insieme alla madre o successivamente a lei. In aula un altro medico del collegio che ha effettuato l'autopsia, Nicola Galante, ha chiarito questo punto: "La morte del feto è successiva alla morte della madre, ed è stata determinata da insufficienza vascolare utero placentare, provocata dall’emorragia materna". Più tardi l'anatomopatologo Ezio Fulcheri ha sottolineato che dall'esame dei campioni di "parete uterina" non sono state trovate "né lesioni vascolari, né segni di contrazioni, e nessun segno di travaglio in atto". In caso di travaglio in atto, il feto avrebbe potuto assumere "personalità giuridica" secondo il codice penale: e configurarsi quindi il reato di duplice omicidio volontario. Ma questo è stato escluso nel processo: Impagnatiello risponde del delitto della compagna convivente, pluriaggravato, e di provocato aborto.

Per quanto riguarda l'avvelenamento dei mesi precedenti, il tossicologo Mauro Minoli ha spiegato che il veleno ritrovato e sequestrato a Impagnatiello, il bromadiolone, "si accumula nell’organismo, nel fegato in particolare, perché ha un tempo di eliminazione molto lungo. É stato rilevato sia nella madre che nel feto, presumibilmente perché la placenta ha la funzione di bloccare gli agenti esogeni. Nel fegato della madre si trovava in misura 30 volte superiore al feto". L'esperto ha spiegato che "il veleno inibisce l’azione della vitamina K, influendo sulla coagulazione del sangue". Ha sottolineato che ha un "sapore amaro". Un dettaglio non da poco: secondo quanto emerso nell'indagine, e poi nel processo perché lo hanno la madre e la sorella, Giulia aveva lamentato di sentire un sapore cattivo nell'acqua delle bottiglie d'acqua. Minoli ha aggiunto che si tratta di una sostanza "con una bassa mortalità" anche se potrebbe creare problemi seri in caso di taglio per via della sua capacità di incidere sulla coagulazione del sangue.

"Dall'esame del capello - ha spiegato l'esperto - sicuramente nell’ultimo mese rispetto agli accertamenti (che risalgono ai giorni immediatamente successivi all'omicidio, ndr) c’è una risposta molto più alta, quindi potremmo dire che c’è stato un aumento della somministrazione".

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