Il Giappone e l'Omotenashi: cosa c'è dietro l'ossessione nipponica per la plastica

Il Giappone è responsabile di appena il 3% della produzione globale di plastica ma detiene il più alto numero di rifiuti di imballaggio in plastica pro capite del pianeta. Ecco perché

Il Giappone e l'Omotenashi: cosa c'è dietro l'ossessione nipponica per la plastica
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Frutta, verdura, snack. Ma anche oggettistica varia e articoli di piccole dimensioni. In Giappone, la maggior parte dei beni di largo consumo è inserita in una confezione, avvolta in reti di polistirene o con pellicole trasparentei. Sebbene questo Paese abbia uno dei sistemi di riciclaggio della plastica più efficienti al mondo è anche uno dei maggiori produttori di imballaggi in plastica monouso a livello globale.

Il Giappone e la plastica

I numeri sono abbastanza embelmatici. Nel 2021, come ha sottolineato la Bbc, giusto per fare un esempio la produzione di bottiglie di plastica in Giappone è balzata all'incredibile cifra di 23,2 miliardi all'anno, dai 14 miliardi del 2004. Ogni anno, inoltre, circa 2,6 miliardi di bottigliette vengono incenerite, inviate alle discariche o perse nei corsi d'acqua e negli oceani.

Questa nazione è inoltre responsabile di appena il 3% della produzione globale di plastica, ma, ha fatto sapere l’ONU, detiene il più alto numero di rifiuti di imballaggio in plastica pro capite del pianeta, dopo gli Stati Uniti.

L'arte del confezionamento

In Giappone molti negozi offrono ai clienti il confezionamento individuale di frutta e snack. Per quale motivo? Da un punto di vista culturale, l'Omotenashi, concetto giapponese di ospitalità, pone grande enfasi sulla presentazione, anche dei prodotti in vendita sugli scaffali. I consumatori, quindi, tendono a percepire l'imballaggio eccessivo come un'espressione di cura, mentre gli articoli confezionati singolarmente contribuiscono ad un senso di igiene, che riveste grande importanza per il popolo nipponico.

Tutto ciò si traduce però in un enorme volume di rifiuti di plastica monouso da smaltire. Nel tentativo di ridurlo, il Giappone ha implementato, ad esempio, appositi regolamenti sui sacchetti di plastica. Alcune città, tra cui Tokyo, hanno introdotto tariffe per i sacchetti di plastica nei negozi al dettaglio. Questa misura ha incoraggiato i consumatori a portare le proprie borse riutilizzabili chiamate eco-bag.

Il problema dello smaltimento

Il sito The Diplomat ha scritto che solo il 22% della plastica raccolta in Giappone viene materialmente riciclata. Il resto viene inviato in appositi siti per essere sottoposta al cosiddetto riciclaggio termico, aggiungendo più carbonio fossile sulle spalle del pianeta. Il 40% della plastica riciclata viene esportata al di fuori dei confini nazionali, per lo più in Paesi privi di sistemi di gestione dei rifiuti solidi. Nel 2019, l'Asia ha prodotto il 54% della plastica mondiale, guidata da Cina e Giappone. Circa la metà dei rifiuti di plastica trovati negli oceani proviene da soli cinque paesi: Cina, Indonesia, Filippine, Tailandia e Vietnam.

La plastica si scompone in microparticelle non biodegradabili che rappresentano potenziali minacce per la fauna selvatica e la salute umana. L'inquinamento da plastica colpisce quasi tutte le specie marine e gli scienziati hanno osservato effetti negativi in ​​quasi il 90% delle specie valutate. Mentre l'impatto sugli esseri umani è ancora sconosciuto, le microplastiche sono state rilevate nel sangue , nella placenta e nel latte materno.

Una volta che la plastica viene bruciata e finisce "nell'ambiente, è molto difficile recuperarla", ha spiegato Melanie Bergman, una biologa marina che studia l'inquinamento da plastica presso l'Istituto Alfred Wegener in Germania.

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