Boss della camorra convertito all’Islam: "Così mi sono salvato dalla tortura"

La permanenza del narcotrafficante napoletano nei Paesi arabi è stata rocambolesca. Bruno Carbone ha dovuto fare i conti con la dura prigionia dei miliziani jiadisti

Boss della camorra convertito all’Islam: "Così mi sono salvato dalla tortura"

A salvarlo è stata la conversione alla religione islamica. Il narcotrafficante napoletano Bruno Carbone, sulla cui testa pesa una condanna a venti anni di carcere per spaccio di droga, oggi è un testimone di giustizia. La sua vita, soprattutto negli ultimi anni, è stata rocambolesca. La sua permanenza nei Paesi arabi si è rivelata un’odissea. Dopo gli agi di Dubai, il boss ha dovuto fare i conti con la dura prigionia dei miliziani jiadisti, i quali lo hanno catturato nel territorio tra la Turchia e la Siria, dove Carbone operava i suoi affari illeciti.

La conversione all’Islam

Il carcere jiadista, in un primo momento, lo ha messo a dura prova. Il narcotrafficante avrebbe subito torture fisiche e minacce psicologiche, fino a quando non ha deciso di abbracciare la religione islamica, in un primo momento per una questione di comodo, ma successivamente in maniera convinta. È stato lo stesso Carbone a confermarlo ai carabinieri, che lo hanno tratto in arresto in Italia dopo l’intervento degli apparati investigativi italiani, i quali hanno lavorato sodo per farlo liberare dal gruppo jiadista. “Mi sono spacciato per ucraino – ha dichiarato al quotidiano Il Mattino il boss – conoscendo certi equilibri, è stata una mossa vincente; poi ho chiesto il Corano. Mi è servito ad evitare un trattamento disumano. Da quel momento in poi, niente torture e sevizie, all’interno della cella, come se avessi avuto un trattamento di riguardo”.

Il rilascio

Carbone il Corano poi lo ha letto davvero ed è rimasto folgorato. “Ho iniziato realmente a credere. Mi sono convertito – ha rivelato – e tuttora sono islamico”. Il boss non è neppure reso conto che stava per essere liberato dai suoi aguzzini.“Un giorno mi convocano, mi fanno lavare, mi tagliano i capelli e la barba – ha raccontato – poi mi danno abiti puliti.

Ho pensato che fosse giunto il mio momento, purtroppo la scena degli uomini decapitati e filmati era viva in me. Invece sono finito in una sorta di hangar e per la prima volta, dopo mesi, ho sentito parlare italiano. Ho capito che mi avevano liberato”.

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